Monselice rievoca il passaggio dell’Imperatore Federico II di Svevia nel 1239
La sfilata storica di Monselice (PD) si colloca oggi 17 settembre 2023 tra gli eventi a carattere storico-rievocativo tra i più importanti della nostra penisola, vista e consolidata la sua capacità di creare e promuovere anche il segmento turistico, tra le voci di maggior peso della nostra bilancia commerciale. In due settimane consecutive di eventi e con oltre 2.000 persone impegnate nell’organizzazione, gli organizzatori sono riusciti a ricreare una parentesi storica che ha destato l’interesse non solo degli abitanti e dei comuni limitrofi ma anche di emittenti televisive importanti come la RAI la quale ha dedicato ampio spazio a questo evento. La rievocazione storica in oggetto ripropone da anni al pubblico il passaggio dell’Imperatore Federico II di Svevia nel 1239. Prima del rituale taglio del nastro alla presenza di tutte le Autorità il sindaco di Monselice, Giorgia Bedin ha sottolineato l’importanza di portare avanti e mantenere vive queste tradizioni storiche, anche per arginare il più possibile il dilagare della globalizzazione e formare i cittadini sulla storia e sulle proprie origini per esserne poi nel presente e nel futuro i primi promotori.

Autorità civili, religiose e militari presenti per l’importante manifestazione del 17 settembre 2023 a Monselice

Taglio del nastro a cura del sindaco Giorgia Bedin elegantissima nel suo abito storico con il quale ha aperto la sfilata
Organizzazione perfetta e ben curata sotto tutti punti di vista, con un po’ di giusta e motivata apprensione per la presenza di numerosi cavalli attaccati ad imponenti carri da guerra. Tutti insieme hanno offerto uno spettacolo di rara bellezza, arricchito da esibizioni teatrali e coreografiche al cospetto di una Giuria che in un secondo momento ha poi premiato le più accattivanti performance. Tutto è filato liscio e senza nessun incidente come poi si era ipotizzato fin dalle prime battute, nel vedere i volti dei professionisti equestri presenti capaci di gestire in assoluta sicurezza i propri cavalli, nonostante gli incessanti rulli di tamburi, gli applausi del pubblico ecc.

Cavalli tranquilli ben guidati dalle abili mani dei rispettivi proprietari. Non sono automobili tutte uguali con gli stassi comandi e prevedibili in ogni spostamento … sono cavalli, conseguentemente sempre in stato di “allerta massima” con redini e frusta alla mano e uomini svelti e veloci a terra in affiancamento.
Il successo di questo evento storico è stato deciso sotto tutti i punti di vista dagli animali, esseri indispensabili dai tempi più remoti fino ai primi anni del ‘900 quando i motori a benzina tolsero una quantità inimmaginabile di fatiche alle povere bestie e ai relativi conduttori. Grande merito va dato alla Regione Veneto e pure alle Regioni confinanti, per aver mantenuto attive ippovie e strutture collegate al fine di favorire questa attività sportiva, salutare e all’aria aperta la quale, se svolta a livello amatoriale, non ha dei costi eccessivi come si è propensi a pensare. Volendo poi essere pignoli e precisi nel mettere sui due piatti della bilancia i costi di sostentamento del cavallo con relative spese negli spostamenti emergono dati “allucinanti” ma … confortanti: dunque, buon proseguimento gente di cavalli! (2° piatto della bilancia: benzina, gasolio, accise e tariffe autostradali come “torri d’assedio”, Autovelox, onnipresenti e occultati come “arieti da sfondamento”, rate, mutui auto e case, distruttivi come “trabucchi-medievali”, tariffe del lavoro bloccate come al tempo di Federico II di Svevia, con esenzione per i soliti lobbysti “escusatii”).

Una veduta tipica medievale

E adesso che rullino i tamburi, lo spettacolo và ad iniziare!
I due presentatori della sfilata, accanto alla giuria hanno illustrato al pubblico presente tante curiosità, molte delle quali veramente poco note ma interessanti, e anche noi per non annoiarvi più di tanto con fotografie ripetitive, abbiamo pensato di citare qualche cenno storico intrigante che vi proponiamo tra una foto e l’altra. Considerato che non siamo quì per fare i fotografi ma per dare informazioni anche culturali, vi auguriamo buona visione.
Link https://narraredistoria.com/2021/08/30/comuni-in-guerra-gli-eserciti-al-tempo-di-azzo-vii-este/
Iniziamo appunto a vedere come era composta la truppa, quali erano i soldati che scendevano in battaglia nel XII e XIII secolo. Innanzi tutto dobbiamo dividere le truppe in alcuni macrogruppi, il primo divide le schiere in “sotto obbligo” e “stipendiati”.
Nella prima branca troviamo tutti i cittadini del comune o della signoria soggetti all’obbligo di corvé ossia il dover prestar servizio, per un massimo di 4 mesi all’anno, come soldati della città. Vediamo nella classe degli obbligati tutti i cittadini maschi dai 15 ai 40 anni in grado di brandire armi, che potevano vantare un reddito annuo minimo di 70 lire. A questi vanno ad aggiungersi anche tutti quei Contadini che hanno le medesime caratteristiche di reddito ed età. Ma attenzione, in questo caso il contadino non è colui che lavora la terra come si intende al giorno d’oggi, ma l’uomo del contado, che vive magari della rendita delle sue terre date in gestione, e dei suoi commerci, ma non lavora e vive in città bensì nella giurisdizione cittadina fuori dalle sue mura. Il contadino come noi lo intendiamo ora, al tempo, era denominato Rustico e solitamente era esentato dagli obblighi militari proprio per poter continuare a coltivare la terra e allevare le bestie.

I “Rustici” erano sollevati da incarichi militari perché giustamente con il loro lavoro dovevano nutrire la popolazione

La dura vita nel Medioevo
Nella seconda branca troviamo gli stipendiati. Altro non sono che mercenari che a necessità cittadina o del signore vengono arruolati. Il secondo macrogruppo divide le truppe in coloro che combattevano a cavallo e coloro che lo facevano a piedi. Partendo dalle truppe a cavallo, troviamo un’ulteriore divisione molto importante: la prima spartizione, del tutto nuova per il tempo, era in base allo stato sociale del combattente.

I Cavalieri rappresentavano la parte più pericolosa di un esercito per la loro velocità negli spostamenti
Il “Caballarius” o come verrà chiamato successivamente Cavaliere, è colui che è stato investito con l’accollata e ordinato tale. Nell’Italia comunale queste persone non furono mai così tante come nel resto dei regni europei dello stesso periodo, ma erano presenti e in pari modo preparati alla guerra. Erano guerrieri di professione con un feudo, magari assoggettato alla città o alla signoria, e con questo in grado di provvedere a tutte le attrezzature belliche di cui necessitavano. Un cavaliere, secondo statuto doveva provvedere, una volta chiamato ad adunata l’esercito, a presentarsi con due cavalli da guerra coperti di ferro (con alcune parti di armatura, solitamente a maglia e placche per il petto e i quarti posteriori) ed una lancia. Se pensate che un cavallo da guerra poteva arrivare a costare 90 lire da solo, senza un feudo era impossibile armare così tanti uomini. Egli stesso doveva garantire di presentarsi con uno zuppone (giacca imbottita), paciera o corazzina, arnesi da gamba e da braccio in ferro, guanti di ferro, elmo o bacinetto, spada, lancia, scudo in legno e gesso e daga.

I Cavalieri
Per chi avesse un reddito più basso troviamo la categoria dei Miles. Un Miles, in cui troviamo annoverati i sergenti già nominati sopra, doveva garantire di radunarsi con una giumenta di non meno di tre anni e non più di otto, vestita di ferro, zuppone, usbergo, guanti di ferro, elmo, calotta o bacinetto, lancia, spada, scudo di legno e gesso, daga o coltello per ferire (un pugnale o un coltellaccio).

Potremmo definirli Guerrieri “part-time”, in tutti i casi con il passare del tempo l’abitudine del “servizio militare” è rimasta in auge fino a qualche decennio fa.
Un ultimo gruppo, che però non si trova sempre nelle cronache, è composto dai Sagittarii Equites ossia i tiratori a cavallo. I balestrieri a cavallo, spesso preferiti agli arcieri, erano un altro corpo scelto che richiedeva una preparazione molto accurata tanto che spesse volte, nelle cronache e negli statuti, coloro che fossero soggetti al reddito di equites potevano scegliere se prestare servizio di lancia o di arcobalista.
In ogni modo essi dovevano presentarsi armati con un castrone o una giumenta di non meno di tre anni e non più di otto; una balestra con almeno quaranta dardi o un arco con almeno sessanta frecce, un elmetto, cappello di ferro o un cesto (così chiamati gli elmi in cuoio bollito e vimini intrecciato), zuppone e coltello per ferire.
I cittadini o contadini con un reddito non troppo basso, ma nemmeno in grado di equipaggiarsi a cavallo, venivano inquadrati come “ Arcobalestrerii “
Gli Arcobalestrerii si potevano in ogni modo annoverare tra i cittadini più ricchi: pensate che nel 1272 Pavia esenta Borgodale da qualsiasi gravame a patto che consegnino annualmente alla città due balestre complete e funzionanti del costo di 10 lire ciascuna. Ai tempi il villaggio comprendeva una trentina di case quindi è ben facile trarre un paragone sulla rarità dell’oggetto e sul suo costo, se le tasse annuali dell’intero borgo venivano bilanciate da due balestre. Un balestriere doveva garantire di presenziare con uno zuppone, un cappello di ferro, un collare di ferro, una balestra con quaranta dardi, guanti di ferro e un coltello per ferire.
Subito dopo, per ricchezza, troviamo i Pedites ossia i fanti più comuni. Traendo spunto da quanti più codici è possibile, si può tracciare l’armamento di un fante medio nell’Italia comunale. Esso era chiamato alla corvé con uno zuppone, elmetto, cappello di ferro o cesto, lancia lunga (da intendersi tra i 2 e i 5 metri a seconda della città; Venezia chiedeva i 5 metri per poter operare da un ponte all’altro delle loro navi, ma la misura più comune era sui 2,5 metri), guanti o mezzi guanti di ferro, scudo di legno e gesso o di canestro (anche qui si vede l’utilizzo del vimini intrecciato) e un coltello per ferire.
GLI “ESCUSATII”

Si potrebbe dire, senza offendere nessuno che “I tempi cambiano ma le mode restano”
Un caso particolare di cittadini comunali sono gli Escusatii, gli scusati. Alcune persone, per meriti di famiglia o per il loro lavoro indispensabile, erano scusati dal prestare corvé: castellani, gabellieri e guardie cittadine erano esentati dal servizio in ogni occasione in cui non si riunisse l’intero esercito cittadino, ed erano casi rari. Altri erano riusciti a ottenere la scusa grazie alle grandi finanze che fornivano più o meno volontariamente alle casse cittadine ed era loro diritto scegliere se schierarsi in battaglia e come, altri ancora per diritti acquisiti si scansavano la battaglia in ogni situazione.

Spettacolari i cavalli attaccati a pariglia che trainavano carri medievali appositamente costruiti, fedeli agli originali, per questo evento storico

Tanti carri trainati da cavalli si sono visti quest’anno a Monselice: merito loro se il corteo storico ha acquisito l’importanza e spettacolarità che meritava, il tutto poi graditissimo dal pubblico
I Berrovieri
Costoro sono mercenari ma di un tipo particolare. Se si pensa a un mercenario si ci immagina un uomo che ha dedicato la sua vita alle armi e alla guerra: il berroviere non era affatto così. Analizzando le fonti possiamo dare un buon ritratto di uno di loro. Innanzi tutto è spesso lombardo o longobardo ossia proveniente dal Regno di Lombardia o dalla Longobardia Minor composta dal sud Italia normanno. Spesso troviamo citati berrovieri assunti a Milano, Modena, Reggio Emilia, Parma, Brescia, Mantova e Cremona; altri li vediamo assunti dalla “Isola grande delle Sicilie” o più vagamente dalla Longobardia Minor. Particolarmente apprezzati come lancieri e arcieri erano quelli provenienti dal Frignano modenese che si distinsero in questo mestiere sino ad oltre il 1300. Sappiamo che era un maschio tra i venti e i cinquant’anni, solitamente proveniente da una famiglia non così povera come si tende a pensare. Probabilmente la sua estrazione è borghese, è figlio di artigiani o mercanti cittadini, ma cosa ancor più particolare è che anch’egli ha un mestiere. Ebbene sì, un berroviere è un mercenario di secondo lavoro.
Spesso appare chiaro come questi uomini avessero un lavoro principale, probabilmente lo stesso del padre o del nonno, impiegati entro le mura cittadine con lavori di artigianato, compravendita mercantile o anche lavori di basso notariato. Molti sono panettieri, fabbri, bottai, falegnami, mobilieri, alcuni sono mercanti, appare un notaio e un avvocato tra i berrovieri. Si addestrano nella loro città, sono tenuti alla corvé e quindi a presenziare sotto le caratteristiche del loro reddito, ma sono anche persone che decidono di vendere la loro abilità bellica a città e nobili vicini che pagano con denaro sonante un servizio analogo a quello che essi devono tenere gratuitamente per la propria città. Ognuno era arruolato a titolo personale e pagato singolarmente da un incaricato di altra città, cosa che con le successive compagnie di ventura e di condotta non accadrà più; in base al proprio armamento, in media un balestriere percepiva circa 3 lire al mese, un pedites veniva pagato 2 lire e 5 soldi al mese, un uomo a cavallo armato a miles 7 lire al mese, se armato a equites arrivava alle 11 lire al mese. I contratti solitamente non duravano a lungo, quattro mesi di norma, e venivano rinnovati ognuno singolarmente.

La Torre da Assedio

Il Carro-balista, una balestra di grandi dimensioni montata su di un carro trainato da buoi o cavalli, ai tempi un’arma rapida e veloce molto potente, oggi la vediamo condotta da Fabio Magonara ed uno dei suoi cavalli

Catapulte di vari modelli e grandezze ma con l’unico scopo di lanciare pesanti macigni contro gli avversari
Le macchine da guerra. Torri di assedio, trabucchi, balliste, rostre, barricate mobili, carri, carrocci, carri falcati non erano proprio oggetti che si potessero vedere su ogni campo di battaglia, ma è altrettanto vero che esistevano ed erano presenti su molti di questi. La macchina bellica più comune in quei tempi è il carro e il carroccio. Oltre alla loro utilità nel trasporto delle vivande essi venivano spesso usati in modo aggressivo. In questi casi il normale carro agricolo e mercantile si trasformava in una macchina pericolosissima, quello che nelle cronache viene denominato Plaustrella. Prima però di spiegare cosa sia questa plaustrella è necessario spiegare cosa sia una Panthera o Rostra.
Secondo Guido da Vigevano, che scrive nel XIII secolo, la panthera è “uno artifizio di legno munito di ferramenta multa, accuta et levia, che in mane a homo prudente e ingegnoso l’è bona per molteplici usi.” Andando poi a ricercare più nel dettaglio la rostra, o panthera, altro non è che una barricata di legno ben munita di ferri aguzzi sul davanti e fori per far passare le punte di spade e lance onde evitare di essere assaltata facilmente. Se munita di ruote e spinta a mano prende il nome di Rostra o Barrichino, se fissa la troviamo nominata come Panthera.
Bene, torniamo ai carri. Pensate ora di barricarne uno in modo da avere su tutti e quattro i lati delle panthere, ponetene due sul davanti come se fosse uno spartineve, attaccate lame di falci alle ruote, fate salire sul carro una decina tra lancieri, arcieri e balestrieri che tirano ben coperti e fanno saettare le punte delle lance tra i fori delle barricate, spostate i buoi sul retro a spingere invece che tirare, copriteli con una struttura di vimini per proteggerli ed avrete ottenuto la vostra Plaustrella. Fa paura al solo pensarla. Un carro armato di altri tempi. Vi sono cronache che ci raccontano di una decina di questi carri, collegati tra loro da delle rostre, a formare un unico fronte, avanzare sul campo di battaglia mietendo vittime.

Elisabetta Chiminazzo e Mattia Manente
Sarebbero stati i Bizantini, verso il 1165, a migliorare il mangano, realizzando una nuova macchina, detta dagli Occidentali trabucco. In Europa il trabuchus o trabuchetus fece la sua comparsa verso la fine del XII secolo. Al braccio più corto del bilanciere venne applicato un contrappeso, un contenitore di legno pieno di sassi o sabbia, che permetteva di sollevare e di scagliare proiettili di maggiori dimensioni. Fermo restando il concetto, le dimensioni della macchina vennero accresciute notevolmente e con esse la struttura delle travi, sempre più grandi, per supportare e resistere alle fortissime sollecitazioni prodotte dal movimento basculante. Poiché il peso del proiettile e l’attrito da esso generato assorbivano abbastanza potenza, nella fase di lancio, la forza di molti uomini appesi alle corde del contrappeso aumentava la spinta ed aiutava a vincere l’inerzia. Poiché la trazione umana poteva imprimere una maggiore o minore accelerazione alla caduta del contrappeso, un abile capo-macchina poteva regolare l’altezza della parabola e lo sgancio della fionda, rendendo il tiro più preciso ed efficace. La costruzione e il corretto funzionamento di questi «ingegni» richiedeva l’opera di artefici abilissimi e ricercatissimi: optimus inzignerius, ad esempio, era detto nel 1238 un certo Calamandrino, esperto di trabucchi e briccole.

Il “Trabucco” attraversa le vie colme di folla, veramente un grande spettacolo
Le testimonianze delle cronache dell’epoca fanno supporre che il trabucco avesse prestazioni balistiche tali da lasciare tuttora meravigliati: si parla di proiettili di 400-500 kg, e perfino di 700-800 kg, con contrappesi che potevano pesare sei tonnellate e mezza, una gittata di 150-200 metri ed una cadenza di tiro di 10-12 colpi/ora. L’effetto psicologico delle macchine da getto pesanti si esercitava però anche a vantaggio di chi le usava: alle più impressionanti venivano infatti dati nomi o soprannomi significativi: «Vattelana», «Lupa», «Cacciapreti» e «Scapegiadonne». Nel 1168 i faentini disponevano di due mangani battezzati Asino e Falcone impiegati nella conquista di Argenta. Nel giugno del 1191, durante l’assedio di Acri, Filippo Augusto di Francia schiera una sua eccellente “petraria” chiamata Mala Vicina, contrapposta a una macchina turca detta Mala Cognata. L’usanza si mantiene nel tempo poiché nel 1294 gli orvietani avevano un trabucco di nome Vattelana (cioè “battilana”), i modenesi nel 1306 una balista chiamata Lupa, e nomi propri assumevano i trabucchi schierati nel 1304 da Edoardo I d’Inghilterra contro il castello di Stirling.

Il poderoso “trabucco” che abbiamo visto sfilare a Monselice è una fedele riproduzione del tempo a grandezza naturale ed è costruito e condotto da uomini e cavalli appartenenti alla Contrada stessa: nella foto Mattia Manente con la sua pariglia di cavalli da Tiro Pesante Rapido
Grazie alla loro eccezionale efficacia, vari tipi di trabucco a contrappeso fisso o mobile, spesso designati anche con termini quali «troia» o «colliardo», rimasero in uso per molto tempo dopo l’introduzione delle armi da fuoco e delle prime bombarde. Un episodio clamoroso legato al trabucco avvenne nel 1345, durante l’assedio dell’avamposto genovese di Caffa (Mar Nero), quando un’epidemia di peste bubbonica si scatenò fra i Mongoli assedianti che, prima di ritirarsi, lanciarono con trabucchi i cadaveri dei loro appestati all’interno della città. I Genovesi contaminati diffusero il virus in molti porti del Mediterraneo, provocando la terribile epidemia che nel giro di alcuni anni sterminò una buona fetta della popolazione europea (50%).
L’ultimo avvenimento noto in cui compare il trabucco avvenne nel 1521 durante l’assedio di Città del Messico, quando gli assedianti di Cortes, scarsi di munizioni, decisero di costruire un trabucco: all’apice della parabola, per qualche strano motivo, la frombola non si staccò e l’enorme peso precipitò in verticale sulla macchina, distruggendola. Pur essendo la macchina da lancio più potente del Medioevo, qualche difetto l’aveva: scarsa precisione e bassa frequenza di tiro, compensate dal grande potere distruttivo in grado di disintegrare qualunque ostacolo in poche ore.

L’Ariete, un’altra temibile macchina da assedio
Rare notizie sui costruttori di carri da guerra medievali
Pare che Guintelmo, ingegnere militare al servizio del Comune di Milano fra 1156 e 1162, fece realizzare un centinaio di carri da guerra, carenati davanti a mo’ di nave e circondati da falci fienaie. Cronache emiliane riferiscono che, nei primi decenni del Trecento, i Bolognesi misero in campo dodici carri sui quali erano state installate macchine da getto; si rividero sui campi i carri costruiti a suo tempo da Guintelmo, che nella parte bassa proteggevano i cavalli e sopra ospitavano i combattenti.

Emozionante il passaggio dei carri da guerra sotto le ancora visibili mura di Monselice
Nulla di preciso è dato conoscere sulla gittata delle macchine a contrappeso ma possediamo qualche dato in più sul calibro dei proiettili lanciati. Tra le 14 macchine schierate nel 1249 da Ezzelino da Romano contro la rocca d’Este – dice Ronaldino da Padova – ce n’erano che “lanciavano pietre del peso di 1200 libbre e oltre (cioè dai 405 ai 580 chili). Nel corso del Trecento c’è la tendenza a realizzare macchine sempre più potenti: i trabucchi che nella prima metà del secolo suggeriscono a Buridano la teoria dell’impetus gettano infatti proiettili di 5 quintali; nel 1374 i genovesi impiegarono all’assedio di Kyrinia, nell’isola di Cipro, “una macchina chiamata troia” capace di lanciare pietre dal peso che andava da 12 a 18 cantari, cioè da 570 a 850 chilogrammi; e si ha notizia che i veneziani possedevano trabucchi caricati con proiettili pesanti sino a 12 e a 14 quintali. Interessante è scoprire da dove derivi la parola “scarpata” collegata a questo genere di macchine da getto. La difesa di una grande città doveva essere prevista molto tempo prima, tanto che nel Basso Medioevo si incominciò a proteggere la cinta muraria con mura fortemente “scarpate”, cioè inclinate verso l’esterno, così che le pietre lanciate dall’alto, rimbalzando, schizzavano verso il nemico senza controllo.

Il carro del Maniscalco, alle redini Elisabetta Chiminazzo
LA FALCONERIA

Presenti nel corteo storico numerosi Falconieri: ancora oggi, a termini di legge, è ammessa la caccia con i falchi rapaci
L’antica arte della caccia nacque sugli altopiani delle steppe asiatiche circa 4000 anni fa
Gli uomini falconieri, che localmente venivano chiamati “Berkuci”, andavano a cavallo con le loro aquile e cacciavano volpi, conigli e persino lupi. Andare a caccia nella vastità delle steppe senza armi da fuoco non era certamente facile e l’aquila diventò il miglior alleato dell’uomo aiutandolo a procurarsi la carne necessaria per la propria sopravvivenza. L’arte della falconeria viaggiò con le carovane dalla Persia fino in Arabia, dove venne perfezionata la tecnica della caccia col falcone la quale viene praticata ancora oggi. Successivamente Federico II di Hohenstaufen, imperatore di Germania, Italia e Gerusalemme, portò in Europa le conoscenze sulla falconeria che aveva acquisito durante i suoi lunghi viaggi in Arabia. L’imperatore fu anche un fine letterato e il suo spirito scientifico si manifestò nel trattato “De Arte Venandi Cum Avibus” (L’arte di cacciare con gli uccelli) che ancora oggi è considerato il testo fondamentale nel campo dell’osservazione e studio dei rapaci.

Il carro dei “Conciatori” di pelli
I monasteri come centri di cultura
I monasteri, dapprima visti come punto di rifugio e di protezione, assunsero quindi la funzione di mercati, magazzini, banche, punti di ritrovo. Quando la situazione politica tornò a essere più tranquilla essi divennero invece punto di riferimento e raccordo per le attività agricole che si svolgevano nel loro circondario – facendosi promotori delle principali forme di produzione e commercio riscontrabili in Europa nel periodo che intercorse tra il crollo dell’Impero Romano e l’ascesa al potere di Carlo Magno.
I monasteri si proponevano anche come importante e spesso unico centro di formazione culturale, anche perché nella società dell’epoca, che si era andata configurando come rigidamente classista, la carriera ecclesiastica oltre a essere l’unica strada che garantiva una qual certa formazione culturale era anche l’unica che prospettasse una qualche forma di promozione sociale.
L’ideale pedagogico di cui il clero si faceva promotore può essere ben esemplificato da quello in vigore nei monasteri benedettini. Benedetto da Norcia (ca. 480-ca. 547), oltre a essere il fondatore della famosa abbazia di Montecassino, lasciò anche la famosa regola che nei secoli successivi regalò non solo i monasteri benedettini, ma che fu alla base dell’impostazione di quasi tutte le comunità religiose. Tale regola, riassumibile nel celebre motto “ora et labora” era basata sull’idea che il frate doveva sempre essere tenuto lontano dall’ozio. Infatti fino al XII secolo la scuola collegata al monastero con i suoi monaci-maestri sarà l’unica forma di scolarizzazione-istruzione per qualsiasi livello educativo. Nonostante la diffusa applicazione della regola benedettina in campo formativo, essa non riporta precise indicazioni metodologiche o didattiche, ma incoraggia unicamente la socializzazione dei giovani attraverso la frequentazione delle pratiche religiose, raccomandando agli insegnanti di mantenere un atteggiamento severo ma comprensivo nei confronti degli studenti. Per la grande maggioranza della popolazione non era previsto alcun tipo di istruzione che, secondo l’ottica del tempo, era del tutto inutile per chi era destinato al lavoro dei campi.
Personaggi eruditi come Giovanni di Salisbury esaltano la fatica del lavoratore, proprio mentre la Chiesa ufficiale continua a guardare con sospetto i lavoratori isolati, al contrario di quelli organizzati in gruppi. In ogni caso continua a persistere la convinzione di dover mettere limiti alla ricerca del massimo guadagno: diversamente dal sistema capitalistico, si lavora al momento, senza strategie ‘razionali’ a lungo termine e senza stoccaggio di merci. Progressivamente, il settore degli scambi assume la stessa importanza della produzione artigianale: nella società medievale chi ha il dominio del ferro e del denaro possiede anche il potere politico, mentre una schiacciante maggioranza di persone vive grazie alla terra. In questo senso, uno studio sul lavoro nel Medioevo deve partire da questo elemento, assegnando il ruolo centrale alla conquista della terra e al controllo della natura.

Nel Medioevo si assegna un ruolo centrale alla conquista della terra e al controllo della natura. Sono passati oltre 1.000 anni e progresso, tecnologie e istruzione hanno fatto passi da gigante. Oggi, 2023, come appare il quadro globale della situazione? (Sempre lo stesso? chissà, forse, ma …)
Grazie per l’attenzione e, come accade sempre più spesso, chi non riuscisse a trovare fotografie dell’evento dalle moltitudini di fotografi disseminati in ogni angolo della città, può contattarci tranquillamente e cercheremo come sempre di accontentarvi!