Tutti Pazzi per “Hippo”
Tutti pazzi….per Hippo
Sculture di cavalli tra arte, simbolismo e paesaggio
Autore: Susanne E.L.Probst
“Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”
esclamò Riccardo III nel famoso dramma di William Shakespeare. E se al re inglese bastava un solo quadrupede per intraprendere la sua fuga disperata in cerca della salvezza, c’è chi però non si accontenta di averne soltanto uno in carne e ossa.I cavalli certamente non mancano all’Azienda Agricola Logan di Prato dove Graziano Tacconi e Alessandra Carlesi allevano trottatori di successo. Avviati alla disciplina delle redini lunghe dallo stesso Tacconi – di frequente l’allevatore guida in gara in qualità di gentleman driver – i trottatori della Logan si distinguono per il numero di vittorie e piazzamenti ma anche per la loro longevità in pista. Lo dimostra il decano dell’azienda, Sugar Bred che, a ben 12 anni e con oltre 150.000 € di montepremi al suo attivo, conquista tuttora i podi alla faccia della concorrenza più giovane. (Vedi anche: https://www.carrozzecavalli.net/2022/03/il-trotto-che-passione/). Tuttavia i due titolari da tempo sentono il desiderio di aumentare la loro scuderia: questa volta però non con un altro puledro ma con una bella scultura in tema per dare un ulteriore tocco di classe alla loro già bella azienda.
Chi ama i cavalli, ama anche le opere in cui sono illustrati. Fin dai tempi preistorici è l’animale più ritratto in assoluto nell’arte. Ricordo l’importanza del mito del “Cavallo di Troia” raccontato dal poeta latino Virgilio nella sua Eneide: l’enorme statua in legno costruita dal greco Epeo con l’aiuto della dea Atena per la quale i Troiani aprirono incautamente ai nemici, dopo dieci anni di assedio, le porte della loro città consacrando così la distruzione della mitologica Ilio. In Italia, tra i numerosi monumenti equestri che adornano le piazze delle città oppure fanno parte integrante di paesaggi di grande bellezza, non mancano certamente gli esempi di “redini lunghe”. Durante il Medioevo, i veneziani partecipanti alla IV Crociata trafugarono a Costantinopoli i quattro splendidi cavalli in bronzo dorato di grandezza naturale attribuiti al sommo scultore della Grecia classica Lisippo. In origine, le sculture sormontavano, insieme alla loro quadriga, l’ippodromo per le corse delle bighe della capitale dell’Impero bizantino. Portati nella città lagunare, furono esposti nel 1254 sulla terrazza della Basilica di San Marco che sovrasta l’omonima piazza. Nel corso dei secoli i bronzi sono stati ammirati da moltissimi viaggiatori, tra cui anche dal Petrarca, oltre a servire da modello ad importanti artisti come Donatello, il Verrocchio, Leonardo e Michelangelo. Nel 1793 lo scultore tedesco Johann Gottfried Schadow ne realizzò una copia aggiungendo la quadriga per la nascente Porta di Brandeburgo a Berlino e dopo la caduta della Serenissima, Napoleone se ne appropriò come bottino di guerra. In Francia, Bonaparte li fece sistemare nella capitale sul monumentale Arc de Triomphe du Carrousel insieme ad una biga realizzata ex-novo dall’artista Charles Meynier. Fortunatamente il Congresso di Vienna decise di restituire le statue a Venezia dove tornarono nel 1815 dopo la sconfitta dell’esercito napoleonico a Waterloo e oggi a Parigi sull’Arco svetta una copia.
La fortuna artistica dei “Cavalli di San Marco” fu straordinaria: tra ‘700 e ‘900 una decina di repliche vennero riprodotte nei maggiori centri europei; da Mosca a Barcellona, da Copenhagen a Bruxelles, le Quadrighe sormontano monumenti importanti presenti nelle città. A Londra, la Quadriga posta nel 1912 sull’Arco di Wellington, alta dodici metri e larga tredici, tiene, con il suo peso di 40 tonnellate, il primato del più grande gruppo bronzeo presente nel Vecchio Continente. Tra il 1924 e il 1927 venne finalmente completato l’Altare della Patria a Piazza Venezia con due monumentali quadrighe, ciascuna guidata da una Vittoria alata. La prima, opera dello scultore carrarese Carlo Fontana è dedicata al “PATRIAE UNITATI”, mentre la seconda, dell’artista romano Paolo Bartolini, al “CIVIUM LIBERTATI”. Istallate sui propilei, affiancano la grande statua centrale della “Dea Roma”, opera di Angelo Zanetti.
Ancora nella seconda metà del Novecento, quando ormai era tramontata l’epoca del cavallo, continuano ad essere esposte statue equestri in tutta Italia: sempre a Roma, il famoso “Cavallo morente” dello scultore siciliano Francesco Messina presidia dal 1966 il piazzale antistante l’ingresso della Rai in Viale Mazzini. Concepito come “Cavallo rampante”, originariamente faceva parte di un progetto mai attuato per un monumento celebrativo di quattro cavalli con biga guidata in battaglia dall’eroe dell’America Latina, Simòn Bolìvar. La scelta della Rai era dettata dal fatto che l’animale “nell’atto di ergersi da terra in tutta la sua potenza dopo essere stato ferito in battaglia”, simboleggiava perfettamente “il potere e la forza della comunicazione” trasmessa dalla Radiotelevisione Italiana. Curiosamente il titolo attuale con il quale l’opera è nota al grande pubblico, ossia “il Cavallo morente”, si deve ad un banale ma persistente disguido giornalistico.
Tra i monumentali bronzi equestri di Francesco Messina c’è da menzionare a Pavia il “Regisole”, commissionato nel 1937 in sostituzione dell’antica statua dell’imperatore romano Antonino Pio che fu distrutta dai soldati francesi nel 1796 per recuperare il metallo e fonderne cannoni. Una commedia sicuramente del tutto all’italiana è invece la storia dello “Stallone ferito”: questa scultura apparteneva sempre alla serie dei cavalli feriti e caduti in combattimento davanti ad una biga. L’opera fu donata dopo la morte di Messina alla sua nativa Catania ma purtroppo la città etnea si dimostrò piuttosto matrigna nel confronto del suo figlio famoso: nel 1999 il bronzo venne inizialmente esposto in Piazza Federico II di Svevia ma fu subito giudicato troppo osceno per stare in un posto pubblico a causa dei poderosi genitali dello stallone bene in vista. In seguito subì numerosi soprusi e durante le processioni le autorità ecclesiastiche imposero di coprire gli attributi maschili per non recare disagio ai fedeli. Trasferito in Piazza Umberto, lontano dai percorsi religiosi, anche lì il cavallo non trovò pace; di recente è stato nuovamente spostato e collocato in mezzo al traffico sulla rotatoria di Piazza Galatea, poco visibile e a distanza dagli sguardi indiscreti dei passanti.
Dal 1979 al 1996 la scultrice franco-statunitense Niki de Saint Phalle, insieme al marito Jean Tinguely e altri famosi artisti della scena contemporanea del momento, creò il “Giardino dei Tarocchi”. Situato su due ettari in uno dei paesaggi più belli della Maremma nei pressi di Capalbio, il tema delle sessanta grandi sculture presenti nel parco si ispira all’esoterismo contenuto nelle carte del mazzo. Un monumento equestre ritrae “La Morte”: essa cavalca con la falce in mano un enorme destriero dal manto blu stellato a raffigurazione della notte che cala sulle anime appena mietute. La statua del “Carro” evoca la settimana carta degli arcani maggiori dei Tarocchi. L’autrice si attiene alla simbologia platonica però non priva di alcune interpretazioni personali: al posto dell’Imperatore c’è un’Imperatrice a tenere le redini e a guidare il carro con attaccata una pariglia. I due cavalli, uno bianco ed uno nero, “la Ragione” e “l’Istinto”, si muovono in direzioni opposte nell’intento di lacerare l’anima dopo la sua morte.
Sempre in Toscana, un grande “Barroccio trainato da un cavallo e guidato dal suo Barrocciaio”, istallato nel 2011 su una rotatoria nei pressi di Santa Fiora, frazione di San Sepolcro, dà il benvenuto agli automobilisti. L’opera, realizzata in acciaio COR-TEN dall’artista originario del luogo ma attivo a New Orleans, Franco Alessandrini, vuole ricordare alle nuove generazioni il valore storico-economico dato dall’attività dei barrocciai al territorio. Questi tipici carri a due grandi ruote cerchiate, l’etimo deriva dal latino “ birotium” ossia due ruote, e trainati da uno o due cavalli robusti ma talvolta anche dai buoi, venivano usati sia per il trasporto di materiale che di persone. Lo scultore testimonia attraverso la sua opera che si trattava di un mestiere duro e pericoloso che non conosceva stagioni: il barrocciaio, esposto tutto l’anno alle intemperie, indossava sempre un cappello per proteggersi dalla pioggia e dal sole e un foulard per non respirare la polvere in estate e l’aria gelida in inverno. Questo tipo di carro non ha dato soltanto un contributo fondamentale come principale mezzo di lavoro: ancora durante gli anni Sessanta del secolo scorso i barrocci circolavano in molte regioni dell’Italia, ma fu anche il modello da cui deriva il calesse. Più agile e veloce, quest’ultimo veniva adoperato fin dagli inizi dell’Ottocento per le prime corse al trotto.
La “Febbre da cavallo” continua ad essere tuttora un sintomo dal quale è difficile guarire e in molti paesi, Italia compresa, nascono nuove installazioni che vedono protagonista questo meraviglioso animale. Talvolta inserite in contesti urbani, altre volte nei paesaggi, esse aggiungono sempre un ulteriore valore all’ambiente che le circonda. Attualmente è la Cina, dove il cavallo è anche un segno dell’oroscopo, una delle nazioni più attive. Memore della sua antica tradizione, chi non ricorda il gigantesco esercito di terracotta commissionato tra il 246 e il 206 a.C. dal primo imperatore Qin Shi Huang per il suo mausoleo a Xi’an nel quale sono rinvenuti, insieme a un centinaio di sculture di cavalli di grandezza naturale, anche due splendide quadrighe in bronzo; oggi il paese del Dragone ama adornare le sue piazze con le loro immagini realizzate da numerosi artisti.
Concludo questo breve saggio non senza aver menzionato uno dei monumenti tra i più grandi in assoluto: quello dedicato ai “Pit Ponies”, ossia ai cavalli che fin dal Settecento venivano adoperati nelle miniere. Lavorando negli angusti cunicoli a trainare i carretti pieni di carbone e di detriti anche per 15 ore al giorno, questi animali passavano l’intera vita sotto terra senza mai poter vedere il sole. All’inizio del Novecento sono stati censiti nelle miniere della Gran Bretagna più di 70.000 cavalli; nonostante l’impiego di tecnologie moderne il loro sfruttamento è perdurato in Europa fino alla fine del secolo scorso. Ispirato al famoso sito preistorico del “Cavallo Bianco di Uffington” che si estende per quasi 120 metri lungo una collina di pietra calcarea nell’Oxfordshire, il disegnatore di paesaggi Mick Petts ha trasformato, mediante 60.000 tonnellate di roccia e di terra, un’intera altura del Parc Penallta nel Wales dando al paesaggio la forma di un cavallo lungo 200 metri. In questo luogo che in passato ospitò la più ampia e profonda miniera di carbone non solo dell’Inghilterra ma di tutta l’Europa e dove si lavorava a ritmi di 24h fino al 1991 quando il sito fu chiuso, il monumento è dedicato a “Sultan, The Pit Pony” e a tutti i “minatori a quattro gambe” che hanno dato il loro contributo nelle miniere, il cui ultimo rappresentante è stato riformato soltanto nel 1999.
Accanto alle sculture collocate in posti pubblici, in Italia molti privati collezionano opere che rappresentano i cavalli. Non è raro che allevatori, aziende del settore, appassionati o semplici amanti del genere acquistino o commissionino opere in tema. Ma chi oggi desidera possedere una scultura equina deve fare i conti con prezzi ben più alti rispetto a quelli di un cavallo vero. Artisti in voga come l’irlandese Nic Fiddian-Green, le cui teste giganti di cavallo si possono ammirare nella campagna tra Toscana e Umbria, ma anche quelli di casa nostra tra cui Mimmo Paladino che periodicamente espone nelle piazze le sue splendide istallazioni, Antonio Signorini attualmente presente a Firenze o Marco Lodola con le sue statue luminose di recente in mostra a Piazza del Campo a Siena e perfino i cavalli choc imbalsamati di Maurizio Cattalan, raggiungono quotazioni da capogiro. Non è raro che, per aggiudicarsi una delle loro opere, si debbano sborsare somme dai cinque ai sei zeri.
Allora cosa fare quando il proprio budget è ben lontano da prezzi del genere? Rinunciare al proprio sogno? Oppure fare come hanno fatto i due allevatori: cercare tra gli artisti meno famosi ma non per questo meno talentuosi. Durante i loro numerosi spostamenti per le corse al Trotto avevano notato alcune sculture di animali i cui colori vivaci risaltavano sul verde dei prati. Immaginandosi il bell’effetto che un cavallo a grandezza naturale avrebbe suscitato sul loro piazzale in erba accanto alla pista di allenamento, Alessandra si è messa subito alla ricerca dell’autore. Contattata la disegnatrice di origine polacca Ewelina Dukiel, che realizza nella sua azienda sul Lago di Garda sculture da esterni in vetroresina, hanno scelto il modello per la loro opera. Lavorando ambedue nel mondo del tessile, ad Alessandra e Graziano è innato il senso creativo. Perciò era forte il desiderio di personalizzare il “manto” con la scelta dei colori e dei simboli che li rappresentano: da un lato i loro due ritratti, dall’altro la loro seconda passione, quella per i cani. Naturalmente non potevano mancare i colori della scuderia Logan, il verde pino e il nero.
Una volta pronto, il cavallo come trasportarlo a casa? Ovviamente in trailer e “Hippo”, come è stato chiamato il nuovo arrivato, non ha fatto storie: consapevole del suo ruolo di mascotte di scuderia è salito sul mezzo come un vecchio veterano delle corse.