Nella foto vediamo il cavallo di razza Bardigiana attaccato alla “Baròza” originale conservata presso il Museo Etnografico “Sgurì” Possiamo dire che sono state rispettate fedelmente tutte le caratteristiche Storiche dell’epoca in cui avvenne l’episodio.

 

L’ULTIMO VIAGGIO IN “BAROZA” DI ANITA GARIBALDI

Sono passati 200 anni dalla nascita di Anita Garibaldi (Laguna – Brasile 30 agosto 1821) morta a Mandriole di Ravenna il 4 agosto 1849 nel corso della fuga da Roma del Generale. In considerazione dell’importanza dell’episodio alcune associazioni hanno ritenuto doveroso ricordare l’evento nella sua importanza storica, ma anche il lato umano della vicenda. A conferire più forza alla ricorrenza ha provveduto una troupe televisiva che ha ben pensato di ricostruire passo a passo queste vicende e tramandarle ai posteri cercando di osservare il massimo rigore storico possibile. Oltre alla consultazione di fonti abbiamo sentito il parere di due autorevoli personaggi coinvolti dal regista del lungometraggio per la loro indiscussa esperienza: il Dott. Romano Segurini, Direttore del Museo Etnografico di Savarna (Ra) e la Dott.ssa Osiride Guerrini autrice di numerosi testi storici sul territorio ravennate e coautrice di una guida turistico-ambientale dal titolo: “Sulle tracce di Garibaldi” a cura del Comitato Acque Terre con suggerimenti e indicazioni per ripercorrere i passi dell’eroe dei due mondi fra i canneti e le bassure del paesaggio che conserva ancora alcuni tratti di quel tempo.

Sentiamo da Osiride Guerrini la prima testimonianza dei fatti accaduti nel 1849 con la conseguente morte di Anita Garibaldi:

Osiride Guerrini:

“Nel nostro territorio ci sono luoghi dove i segni materiali sono simboli di un passato che ci onora per il senso di solidarietà e di impegno civile, dove sono scritte pagine del Risorgimento, della Resistenza, della Cooperazione. Le ricorrenti celebrazioni alla Fattoria Guiccioli conservano i ricordi incancellabili del passaggio di Garibaldi in Romagna e la sventurata morte di Anita il 4 agosto 1849. La breve e avventurosa vita di Anita, sposa di Garibaldi, morta a 28 anni a Mandriole (Ravenna), che spesso si è illuminata di luce riflessa, ci restituisce l’immagine dell’eroica donna venuta dal mare, libera ed emancipata, che ha saputo conciliare con dignità i ruoli che ricopriva. Ricordare quei lontani giorni significa ripercorrere alcuni momenti della nostra storia e onorare quanti lottarono per difendere i principi fondamentali di libertà, democrazia e uguaglianza, enunciati nella Costituzione della Repubblica Romana del 1849, che ritornarono a distanza di un secolo come diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione della nostra Repubblica.

 

 

Dopo la caduta della breve e gloriosa Repubblica Romana sotto i colpi dell’esercito francese, il Generale si rifiutò di deporre le armi e il 2 luglio 1849 si diresse verso il Nord per raggiungere Venezia e difendere la Repubblica di San Marco che ancora resisteva all’assedio dagli Austriaci, ma dopo quattro settimane di marcia fu costretto a sciogliere il suo esercito e con pochi fedeli seguaci, fra cui la moglie Anita in avanzato stato di gravidanza, l’Eroe riprese la marcia fino a Cesenatico dove, preso il controllo del porto, sequestrò alcuni bragozzi deciso ad arrivare a Venezia via mare, ma poco durò il viaggio. In prossimità di Lido di Magnavacca, l’odierno Porto Garibaldi, le imbarcazioni furono intercettate da una flottiglia nemica e costretto a sbarcare ordinò ai suoi di disperdersi nelle valli dove gli Austriaci non potevano avanzare. In fuga fra i canali e i canneti della valle di Comacchio rimase solo con Anita e il fedele capitano Leggero. Scivolando sulla laguna la barca approdò sull’argine sinistro del Reno in prossimità di Mandriole, dove i fuggiaschi trovarono presto rifugio e i primi soccorsi per la prodiga mobilitazione di popolani e possidenti. Furono condotti con Anita adagiata su un biroccio, attraversando la Valle di Marcabò lungo arginelli asciutti, alla fattoria dove premurosamente furono accolti.

 

 

L’eroina colpita da un’altissima febbre e aggravata dalle sofferenze della fuga, nonostante i primi soccorsi di un medico non sopravvisse e spirò sul far della sera, adagiata sul letto in una stanzetta al piano superiore (4 agosto). Garibaldi, in lacrime e affranto dal dolore per la perdita della sua amata compagna, fu costretto a una precipitosa partenza per il pericolo incombente e per non mettere a rischio la famiglia che l’aveva ospitato. Raccomandò in lacrime di dare una degna sepoltura ad Anita e di lasciare un segno di riconoscimento sul luogo. Di notte la salma di Anita fu frettolosamente inumata in incognito, nella vicina landa della Pastorara; Garibaldi e Leggero furono condotti verso Sant’Alberto su due biroccini, ma scescero fuori dal paese e attraversarono i campi, a piedi per raggiungere un luogo sicuro, guidati da patrioti santalbertesi.”

 

 

Tra i tanti libri curati da Osiride Guerrini (nella foto) troviamo questo interessante volumetto dove vengono messi in risalto e descritti una piccola parte delle migliaia di oggetti della scomparsa “Civiltà contadina” conservati nel Museo dal suo Direttore, Romano Segurini (nella foto)

 

Presso il Museo Etnografico “Sgurì” è presente un raccolta di calessi in prevalenza di origine romagnola che ripercorre la storia delle popolazioni del tempo in particolare delle campagne, mezzi utilizzati esclusivamente per lavorare e spostarsi

 

 

La raffigurazione più realistica che abbiamo trovato. E’ una Xilografia di Giuliano Giuliani, un pittore Romagnolo degli anni 40 ed è tratta dalla rivista “La Piè” diretta a suo tempo da Aldo Spallicci

 

La parola Biroccino è ricorrente nel racconto e proprio il Biroccino ed il cavallo hanno avuto un’importanza determinante per assicurare la salvezza di Garibaldi. Il termine esatto con cui viene descritto il Biroccino nel dialetto locale è Baròza” e attualmente all’interno del Museo Etnografico “Sgurì” ne sono conservati tre esemplari autentici costruiti presumibilmente 150 anni fa. Anche se legni del genere è quasi impossibile che si mettano in movimento trainati da un cavallo vivo e vegeto, Romano Segurini ha optato per uno strappo alla regola nel nome della cultura e della storicità delle immagini che dovranno poi essere tramandate alle generazioni future. Tra le varie stampe e disegni dell’epoca Romano Segurini ci ha fatto vedere la più realistica e veritiera: una litografia di Giuliano Giuliani che raffigura la “Baròza” trainata dal cavallo con Garibaldi davanti ed un uomo che ripara dal sole cocente Anita sofferente.  Abbiamo chiesto al Direttore del Museo, Romano Segurini una rapida descrizione non solo della “Baròza” che gentilmente ha messo a disposizione, ma avendo visto all’interno del Museo la più grande e completa collezione italiana di Calessi, Biroccini, Carrette, Domatrici, Vitellaie e Spallone tipiche della Romagna e dell’Emilia in genere, un ragguaglio sui pochi mezzi a due e quattro ruote che circolavano a quei tempi in questi territori .

Romano Segurini: “All’interno del Museo Etnografico troviamo tre modelli di “Baròza”, due quasi simili abbastanza grandi adatti ad un cavallo e uno un po’ più piccolo, adatto ad un mezzo-cavallo o un asino. Questo veicolo a due ruote e due stanghe era prevalentemente trainato da un asino per il trasporto di cose. Solitamente erano di colore legno naturale e in alcuni casi come quello da me messo a disposizione, troviamo le ruote e parte del cassone esterno colorato di un particolare rosso scuro definito “apotropaico” perché aveva anche il compito di tenere alla larga gli spiriti maligni. Un altro veicolo a due ruote dell’epoca era il Biroccio; era più robusto e massiccio ed era dotato di “timone”, idoneo per il trasporto di cose in genere ed era solitamente trainato da una coppia di buoi. Abbiamo poi il classico Calesse con tutte le sue varianti, Biroccino o Baracchina, il quale, dotato di stanghe per attaccare un solo cavallo, veniva utilizzato prevalentemente per trasportare persone. Infine abbiamo il Carro dotato di quattro ruote che era trainato in prevalenza da vacche e buoi.”

Nella foto l’originale “Baròza” messa a disposizione da Romano Segurini per garantire una fedele rappresentazione cinematografica

 

Un interessante documentario cinematografico sulla vita di Anita Garibaldi.

A questo punto e dopo tutte le notizie storiche lette, è comprensibile che qualcuno si chieda il perchè di questa mobilitazione di uomini, carri e cavalli. Inizialmente nel preciso e dettagliato racconto di Osiride Guerrini abbiamo visto che molto spesso per muoversi venivano usati i mezzi esistenti all’epoca dei fatti. Dovendo riproporre in versione cinematografica l’accaduto, il Regista ha cercato di avvicinarsi il più possibile alla realtà dei fatti potendo disporre, in via del tutto eccezionale dello stesso e identico mezzo utilizzato da Garibaldi, attualmente conservato all’interno del Museo Etnografico “Sgurì”. Naturalmente Romano Segurini ha poi dovuto cercare con perizia, abilità e fortuna il cavallo “giusto e fidato” da attaccare al raro pezzo d’antiquariato, speranzoso che non trasformasse in pochi minuti la “Baròza” in un mucchietto di legna da ardere! Adesso procediamo con la … messa in moto.

 

 

Romano Segurini insieme a Flavio Ancarani osservano visibilmente soddisfatti l’insieme dell’attacco il quale rispecchia le giuste proporzioni tra la grandezza del Biroccio e l’altezza del cavallo.

 

La “messa in moto”

Molto più laboriosa di quanto si possa pensare e che doveva essere affidata solo ad un professionista esperto, la partenza e collaudo, perché una sola mossa o movimento sbagliato e il rarissimo cimelio d’epoca, praticamente un pezzo unico oramai introvabile e con 150 anni di onorato servizio, si poteva trasformare in pochi minuti in una fascina di legna per cucinare pancetta e salcicce alla brace! Nell’agenda telefonica di Romano Segurini era presente il nome del professionista, Flavio Ancarani e dopo alcune telefonate per i dettagli tecnici e operativi di rito ecco arrivare nel cortile del Museo Etnografico il cavallo “Argo” di pura razza Bardigiana insieme a Flavio per un primo approccio e conseguente collaudo. Abbiamo citato giustamente la grande difficoltà di questa “messa in moto” perché le stanghe all’interno delle quali deve posizionarsi il cavallo non sono regolabili, ma sono fisse in robusto legno, e se il cavallo è troppo alto, troppo basso, troppo largo ecc. non si parte; il cavallo, come vuole la regola, deve essere proporzionato al mezzo che deve trainare. C’era poi da considerare anche il finimento perché tanti due ruote hanno il bilancino ove inserire le apposite tirelle mentre nel caso di Birocci e simili sprovvisti di bilancino era d’obbligo il Collare o Collana con tirelle in corda e la catena in ferro nella parte terminale.

Flavio Ancarani non è nuovo a queste rievocazioni storiche con i suoi tranquilli e fidati cavalli di razza “Bardigiana”

 

Termina qui la nostra cronaca dell’accaduto e ci congratuliamo con il Direttore del Museo, Romano Segurini, per la sua passione e professionalità che ha voluto mettere al servizio della cultura; un grazie a Flavio Ancarani, professionista delle redini lunghe più volte Campione Italiano nella specialità del Trec-Attacchi, il quale ha saputo scegliere dalla sua scuderia privata il cavallo giusto allo scopo, un cavallo che anticamente era apprezzatissimo e costosissimo  perchè era … buono e bravo!  Dobbiamo fare come al solito i complimenti alla “Regina di casa Segurini”, la Signora Maria Rosa, la quale, tra i suoi tanti pregi, per nostra fortuna ha un difetto: se le lancette dell’orologio sono troppo vicine al mezzogiorno, si è obbligati a sedersi ed assaggiare le sue tagliatelle con ragù contadino. Nessuno se lo è fatto ripetere due volte!

 

 

Dopo alcune prove e sistemazione corretta dei finimenti, allo scoccare della dodicesima ora l’attacco risulta perfetto in ogni suo dettaglio

 

 

L’ultimo viaggio di Anita

 

Il vicesindaco riceve Annita Garibaldi Jallet a Ravenna per i 200 anni dalla nascita della famosa trisavola