ALBERT MOYERSOEN: SE N’E’ ANDATO UN GIGANTE DEL MONDO EQUESTRE
Scomparso all’inizio di settembre 2021 all’età di 95 anni, sulla vita del Barone Albert Moyersoen si è raccontato praticamente tutto, dalla prima infanzia in Belgio, sua terra di origine, quando a 8 anni si cimentava nella guida di carrozzine attaccate alle capre perché quello era il primo approccio per i giovani rampolli delle nobili famiglie, passando attraverso il suo impegno militare che lo vide arruolarsi a 17 anni come volontario nelle truppe inglesi per poi diventare Ecuyer al Haras du Pin, dalla ribalta della cronaca quando “mise in sella” e fornì i cavalli a Lucio Battisti e Mogol per il loro mitico viaggio di tre settimane da Milano a Roma “per curarsi un po’ delle malattie della loro vita di lavoro, di fretta, di angosciosa corsa contro il tempo”, fino al suo lungo soggiorno presso quel gigante dell’equitazione classica che va sotto il nome di Nuño Oliveira, senza peraltro tralasciare la realizzazione del suo progetto unico ed inimitabile, di costituire presso la sua tenuta un Museo del Cavallo Militare con 14 manichini in grandezza naturale di cavalli oltre a 2 di muli, perfettamente bardati con i finimenti originali dei vari eserciti che schierarono circa 10 milioni di cavalli durante la Seconda Guerra Mondiale.
Albert Moyersoen viene via via indicato come “il più grande uomo di cavalli che l’Italia abbia a disposizione (GIA – 2013)”, colui che “ha accumulato un patrimonio enorme di conoscenza e competenza”, […] la cui scomparsa rappresenta per “il mondo dell’equitazione la perdita di un punto di riferimento” (Cavallo Magazine), “uno straordinario uomo di cavalli a 360 gradi” […] “con lui il mondo dell’equitazione, non solo italiana, perde uno dei più grandi uomini di cavalli esistenti” (Quotidiano Nazionale): tutte definizioni che calzano alla perfezione per rendere merito alla grandezza di un uomo di cavalli senza eguali, appassionato, curioso, meticoloso, rigoroso, esigente, discreto, elegante, appassionato, poliedrico e, come vedremo al termine del nostro contributo, anche estremamente moderno.
Nostro compito è quello di soffermarci sul suo stretto legame con il mondo italiano delle redini lunghe attraverso i tanti racconti fatti a chi lo ha frequentato a lungo, a iniziare da mio marito Franco durante gli oltre 20 anni di permanenza presso la tenuta La Longora di Carpiano, per proseguire con chi ha avuto la fortuna di incontrarlo e la perspicacia di capirne la grandezza.
Partiamo dall’importanza rappresentata da Moyersoen nel panorama degli attacchi in Italia, così come mi è stato raccontato da mio marito Franco Ferrari nelle lunghe serate invernali, quando i cavalli godevano ormai del meritato riposo e i ricordi si facevano più vividi.
“Quando Piero Cinquini insieme ad Egidio Quarenghi, Agostino Vavassori, al Conte Carlo Moroni, a Giovanni Falsina e alcuni altri nel 1974 fondò il Gruppo Italiano Attacchi, tra i soci fondatori compariva anche Albert Moyersoen. Il fatto che quest’ultimo ne assumesse la direzione tecnica confermò ai presidenti della FISE Lombardia, Massimo Gotta, e della FISE nazionale, Enrico Luling Buschetti, la serietà dell’iniziativa tanto che l’organizzazione della nuova disciplina degli Attacchi fu delegata in tutti i suoi aspetti, regolamenti sportivi e formazione degli ufficiali di gara compresi, dalla FISE al GIA e tale rimase fino al 2000.
Da pochissimi anni gli Attacchi erano diventati una disciplina equestre internazionale, grazie al Duca di Edimburgo, allora presidente della FEI, e Moyersoen, come chef d’équipe, accompagnò i nostri guidatori nei primi confronti internazionali, mentre la Longora divenne sede sportiva del GIA. Nel 1985 fece notizia la vittoria a Sandringham di Carlo Mascheroni nella presentazione, allora prova giudicata separatamente (oggi è ricompresa nel dressage) precedendo in classifica – udite, udite – lo stesso Principe Filippo!
Il primo regolamento internazionale Attacchi prevedeva solo la categoria dei tiri a quattro, anche se ben presto concorsi internazionali di pariglie vennero organizzati nell’ambito della coppa del Danubio e delle Alpi (il Donaualpenpokal), aperta alle nazioni danubiane ed alpine. A Moyersoen va il merito di aver organizzato e prestato la sua opera come Chef de Piste al primo campionato mondiale sperimentale per pariglie nel 1983 a Montelibretti presso la Scuola Militare di Equitazione, erede della gloriosa Scuola di Pinerolo, e di cui era vicecomandante il conte Carlo Moroni, allora presidente GIA.
Più tardo fu il riconoscimento internazionale della categoria singoli: anche in Italia alcuni consideravano l’attacco singolo con sufficienza, una cosa da poveretti. Moyersoen intuì invece la potenzialità del singolo come alta espressione dell’arte equestre e riunì a metà degli anni ’80 attorno a sé un gruppetto di guidatori di singolo, forse troppo in anticipo sui tempi. Il primo campionato mondiale singoli si svolse infatti solo nel 1998. Da quel gruppo vennero comunque guidatori che dettero lustro allo sport equestre nazionale, fra cui Cristiano Cividini.
Moyersoen, con l’abituale passione e precisione che metteva in tutte le cose di cavalli, su incarico del comune di Milano creò il gruppo dei Vigili a cavallo. Milano infatti volle allinearsi a tutte le grandi metropoli, Londra fre le prime. Il verbo creare non è fuori luogo: scelse i cavalli, procurò selle e finimenti, addestrò i “ghisa” montati. I cavalli erano di origine argentina poiché riteneva che soggetti abituati a lavorare abitualmente con le mandrie bovine fossero adatti al servizio di ordine pubblico, fatto di interminabili attese ma anche di momemti turbolenti.
Moyersoen dedicò una vita all’arte equestre in tutte le sue forme ed al suo protagonista il cavallo, compagno ed amico dell’uomo, per secoli, in guerra, nello sport, nell’alta scuola ma anche nel lavoro dei campi e nei boschi.
Indimenticabile un “pas de deux” con la ballerina alla Lodovica: cielo plumbeo, Moyersoen terreo in viso perché appena uscito da una malattia, staffato lungo, con un Lusitano obbediente ai suoi impercettibili comandi, pochissimi spettatori a bordo campo: ballerina, cavallo e cavaliere sembravano dare armoniosa forma fisica al succedersi delle note in un ambiente quasi irreale. Anche le sue esibizioni alla guida di un tiro a otto alla Fieracavalli di Verona sono restate nella storia degli attacchi. Quelle lunghissime redini sono ancora oggi montate su cavalletti in assetto di marcia, lungo una parete del suo regno di ricordi.
Ebbe per molto tempo in scuderia un gigantesco soggetto di nome Mouton, abituato a trasportare i tronchi tagliati dai boscaioli nelle foreste ardennesi, che con docile precisione muoveva i suoi quintali di muscoli obbedendo ai comandi del cordino, una singola redine.
Moyersoen promosse lo stile di guida con le redini in una sola mano, all’inglese (Howlett), secondo i dettami già di Volpini e di Agostinelli, e fece conoscere le redini Achenbach che consentono la regolazione delle stesse stando a cassetta e la semplificano; promosse pure l’uso del simulatore di guida.
Conscio che i tempi moderni inevitabilmente riducono l’uso del cavallo in tutti i campi e particolarmente in quello militare, ma anche che nella seconda guerra mondiale ancora il cavallo svolse un ruolo determinante accanto ai mezzi motorizzati, raccolse con certosina pazienza e rigore quasi filologico selle, finimenti, accessori, documenti sui reparti a cavallo di tutte le nazioni in guerra perché non ne andasse perso il ricordo.”
Segue il racconto di Cesare Martignoni che insieme al padre Vittorio è stata forse la persona che ha frequentato più a lungo Moyersoen: i suoi sono aneddoti che partono dall’ormai lontana infanzia e si concretizzano con l’essere l’unico italiano giudicato degno di essere accolto quale membro dell’esclusivo Coaching Club inglese, grazie proprio alla qualità della guida e alla competenza nel presentare un Coach insegnategli da Moyersoen.
“I primi rapporti con Moyersoen li ho avuti attraverso mio papà perché loro erano grandi amici. C’era stata tra loro la famosa promessa. Uno o due anni prima che mio papà mancasse, scherzando, uno dei due disse all’altro: “Sai una cosa? Se muoio prima io mi porti al cimitero tu, e viceversa”. Mio papà è mancato nel 1993 e lui è venuto qui a Gallarate per portarlo in chiesa. Lì poi si era verificata una polemica enorme con il Comune e col Sindaco perché all’epoca il regolamento comunale non prevedeva la possibilità di trasportare defunti con carri ippotrainati. Poi, essendo la nostra una vecchia famiglia del luogo, onorata, con molte conoscenze, si arrivò ad un compromesso storico. Mio papà poteva essere preso da casa e portato in chiesa, ma non dalla chiesa fino al cimitero. Allora Moyersoen si fermò sul sagrato con il carro, aspettò che la cerimonia finisse e che la bara fosse caricata sul carro funebre a motore, gli si mise davanti e ad un bel trotto vivace lo precedette fino al cimitero: la promessa di accompagnare l’amico all’ultima dimora era stata mantenuta!
Il rapporto con Moyersoen era quello di una grande amicizia tra lui e mio padre. In quegli anni c’erano ancora i guidatori della vecchia scuola. C’era Riccardo Beverina, Salvatore Lunardini, Tino Vavassori, Osvaldo Rivolta e tanti altri. Io già da ragazzino ho sempre seguito mio papà nelle varie sfilate e manifestazioni e un bel giorno Moyersoen disse a mio padre: “Guarda che qui da me abbiamo organizzato degli stage facendo venire Auguste Dubey, il militare svizzero che ha vinto il primo campionato del mondo FEI per tiri a quattro. Manda giù tuo figlio Cesare e vedrai che gli serve”. Con mio papà ho imparato tanto ma per quelli che sono i fondamenti di base, l’attaccare secondo un metodo preciso e l’affinamento io devo ringraziare Moyersoen che aveva una profonda conoscenza di certe finezze nella guida. Moyersoen mi dava a volte in mano le quattro redini del tiro a quattro di bai dell’Angelo Bruno di Saluzzo e io ne ero orgoglioso.
Poi con Moyersoen ci sono stati tutti gli anni ‘80 con gli Hackney. In quell’epoca qui era scoppiata la bomba Hackney, tanto che abbiamo fondato un’apposita associazione. Da maggio a ottobre, tranne ad agosto, c’era ogni mese uno show di Hackney a cui partecipavano pony e cavalli di taglia grande, attaccati in singolo, pariglia e tandem.. C’erano Semprini, Foco, Di Chiara, Cristiani di Certosa di Pavia, Filippo Pozzi e altri. Quella storia è andata avanti 5 o 6 anni. Poi è successo quello che era prevedibile. Diceva: “Comprare un Hackney è come comprare un orologio svizzero caricato. Io te lo vendo ma la chiave per ricaricarlo non te la vendo. Te la devi fare tu. Successe quindi che tutta questa gente spendeva tanti soldi in Olanda e Inghilterra per comprare questi cavalli, poi piano piano la carica diminuiva e a un certo punto non riuscivano più a guidarli. La meteora si è quindi esaurita negli anni ‘80. Negli anni 90 anch’io ho fatto qualche sfilata alla buona e poi, andando tutti gli anni ad Ardingly in Inghilterra con Di Chiara e Pozzi per via degli Hackney, dato che in questi show c’era veramente di tutto, compresa la Coaching Class, mi sono appassionato al tiro a quattro.
Una volta portata a casa la carrozza Holland & Holland acquistata da Robert Sallmann, dopo aver fatto fare i finimenti adatti da Albrecht Mönch in Germania, e grazie ad un periodo in cui avevo anche le mie belle mezze giornate libere, mi sono organizzato con Moyersoen perché un paio di volte alla settimana venisse da me a insegnarmi e così uscivamo spesso insieme. Lì mi ha dato tanti, tanti consigli su come fare, sempre con calma, con le belle maniere. Ad esempio se un giorno ero inverso mi diceva di non attaccare, di andare piuttosto a fare un giro in bicicletta perché il nervosismo lo si trasmette subito ai cavalli. Ho preso anche tanti pugni sulla schiena per la postura e poi quello che mi ha inculcato è il concetto di “ordine”: in tutte le cose ci deve essere un ordine. Ad esempio non so quanta gente mi ha chiesto negli oltre 15 anni in cui ho frequentato gli show in Inghilterra di venire con me. Io rispondevo che dovevano prima venire per tanti fine settimana da me ed imparare il mio sistema, perché per essere nella mia squadra dovevano sapere con precisione come le cose dovevano essere fatte, come le volevo io. Io di mestiere non sono un’agenzia viaggi: sono uno che, se qualcuno vuole venire con me, bene, che mi aiuti, ma deve fare le cose come intendo io. Infatti chi mi segue sa esattamente quale è “l’ordine”, quello che Moyersoen ha insegnato a me e che io ho trasmesso a loro. In scuderia le cose devono essere fatte in una certa maniera e tu devi avere delle persone intorno che operano con quel criterio lì. Questa è una cosa estremamente importante.
Forse è una mia impressione, ma da molte persone è stato anche un po’ malvisto. Perché era uno che non te le mandava a dire. Se doveva dire che avevi sbagliato, che avevi fatto una sciocchezza, che eri uno stupido, te lo diceva, non è che ci faceva 50 giri intorno. Ogni uomo è fatto a proprio modo. Sentirgli dire “bravo, hai fatto bene” era quasi impossibile. Lo dovevi percepire tra le righe. Al massimo diceva “Sei pronto. Adesso puoi andare”. Era una persona che conosceva un po’ la storia di tutti e ha avuto anche la fortuna di conoscere tanti personaggi importanti come Frank Haydon, Jean Nadrin, un vero pezzo da 90, un istruttore di dressage e un ottimo guidatore, probabilmente allievo di Howlett, tanto è vero che De Langlade, quando gli nominai Nadrin, mi confermò che negli anni 20–30 al Grand Palais di Parigi organizzavano degli show di assoluta eccellenza dove veniva sempre richiesta la sua presenza. Un altro di cui Moyersoen aveva una grande considerazione era Osvaldo Rivolta, il commerciante di cavalli top di Milano, quello da cui comprava i cavalli tutta la grande borghesia milanese, la noblesse. Lui era riuscito ad accaparrarsi questa clientela scelta perché aveva avuto la fortuna, da giovane, di lavorare a Parigi da un grandissimo commerciante di cavalli di alto livello, un certo Roi, dove aveva imparato non solo alcune furbizie per presentare in maniera vantaggiosa un cavallo ma anche come trattare con un certo tipo di clientela.
Ci sono anche altri personaggi di cui Moyersoen mi aveva sempre parlato bene. Ad esempio il capo scuderia alla Villa Reale di Monza, un certo Pinin Scavarda, il cocchiere reale della tenuta. Chiunque in quella zona avesse problemi con un cavallo andava a chiedere consiglio a Scavarda e lui sapeva sempre come risolvere la situazione. Oppure Adriano Bondi di Bologna, grande uomo di cavalli.
Un tempo di attacchi di alto livello ce n’erano tanti, guidati da persone capacissime: a Roma, Napoli, Palermo. Purtroppo nessuno si è preoccupato del cambio generazionale, era una cosa che andava presa in mano già negli anni ’70.
Moyersoen adottava un metodo rigoroso, preciso, per avvicinare il cavallo, da quando lo si pulisce a quando lo si veste, lo si attacca e lo si guida. La prima volta che andai da lui mi disse: “Prendi questo cavallo e legalo”, cosa che feci come sapevo fare. “Non si lega così un cavallo” e mi fece vedere come lo si fa in modo sicuro, perché tutto è in funzione della sicurezza. La parola chiave è evitare incidenti. Siamo dunque partiti da come si lega un cavallo proprio perché “in tutte le cose c’è un ordine”.
Dobbiamo a Mario Appiani, per lunghi anni Presidente del GIA, un ricordo che risale a qualche anno prima della nascita dell’Associazione, quando ancora gli attacchi erano praticati in ambienti ristretti, sia nel mondo degli attacchi da lavoro, sia in quello dell’attacco signorile dove il piacere di presentarsi e mostrare equipaggi impeccabili era particolarmente diffuso in ambienti contigui a quelli delle cacce a cavallo, delle corse al galoppo e al trotto, dei concorsi ippici e di alcuni reparti militari.
“Conobbi Albert alla Longora nella primavera di molti anni fa, forse nel 1963, perché vi erano stati messi in quarantena una dozzina di pony del Galles che un gruppetto di simpatiche signore inglesi aveva portato alla fiera dell’agricoltura di Verona dall’Inghilterra e in fiera avevano preso l’influenza. Allora la fiera si teneva a fine inverno inizio primavera, prima delle semine primaverili, credo come oggi, ma non aveva ancora perso i cavalli, che successivamente (dal 1976) furono trasferiti all’autunnale Fieracavalli. Andai alla Longora con Anna, da poco conosciuta, interessato ad un eventuale acquisto. La grande stalla era ancora occupata dai bovini e allora la Longora mi sembrò un posto fatato, il racconto della vita equestre e militare di Albert una bella favola.”
Un altro contributo ci viene da un amico di Moyersoen di lunga data, Franco Di Chiara. Questo il suo racconto.
“Io a Moyersoen devo moltissimo sotto tanti punti di vista. L’ho conosciuto in un momento di forte depressione, ormai quasi mezzo secolo fa, e lui mi ha letteralmente salvato la vita buttandomi a capofitto nel mondo dei cavalli e in questo campo non c’era nessuno che potesse uguagliarlo. Era un mago del lavoro alla corda. Quello che fa la maggior parte di noi è “muovere” un cavallo alla corda. “Lavorarlo” è tutto un altro discorso. Lui lo studiava, capiva quali erano le sue debolezze, le correggeva, ginnasticava la muscolatura in modo simmetrico, lo rendeva piacevole da montare e/o da attaccare: tutto questo con il lavoro alla corda. Aveva delle forti intuizioni e delle capacità tecniche acquisite con tanta passione e tanto lavoro. In quanto alle redini lunghe, era un vero artista. Gli Hackney – che sono sempre stati la mia passione – a dire il vero non aveva cognizioni approfondite, tanto è vero che, arrivati ad un certo punto dell’addestramento dei miei cavalli, cosciente di non riuscire a farli migliorare ulteriormente, fu lui stesso a mandarmi in Olanda dalle persone giuste che poi permisero ai miei soggetti di vincere numerosi premi. Fu a quel punto che mi affidò anche alcuni dei suoi Hackney da lavorare mentre lui si dedicava con sempre maggiore dedizione ai cavalli Lusitani.
A livello caratteriale era un gran lavoratore e purtroppo non capiva come gli altri non riuscissero a sgobbare al pari suo: si aspettava che tutti avessero la sua tempra, cosa assai difficile da mettere in pratica. Non era mosso da ambizioni personali ed i soldi erano per lui un aspetto secondario. La sua era passione pura, senza cedimenti, senza compromessi.
Ancora diverso o, per così dire, più stretto, era il legame tra Moyersoen e Carlo Gnecchi Ruscone la cui moglie, Véronique, belga come Moyersoen era cugina di quest’ultimo, tanto che al loro matrimonio fu proprio Moyersoen uno dei testimoni di nozze. Qui i ricordi sarebbero infiniti, ma tutto col tempo sbiadisce e rimane quella grande stima e quella vicinanza nel modo di vedere le cose che li accomuna tutti. Ecco un breve racconto.
“Per noi, i suoi seguaci più stretti, Moyersoen non era solo un maestro ma anche un amico, tanto è vero che da parte mia posso solo dire che non disdegnava di insegnare le cose di cui di solito tanti istruttori sono gelosi. Nei miei confronti, forse anche a causa della parentela che ci legava, non ha mai tenuto dei segreti per sé e questa era una qualità davvero unica di cui gli sono sempre stato grato. Tutti i cavalli che nel corso degli anni ho acquistato, sono sempre stati scelti e addestrati da lui, a partire dalla pariglia di arabe, acquistate in società con Mario Cignona Mozzoni, con cui disputai il primo Campionato Sperimentale FEI per pariglie a Montelibretti nel 1983 (vedi foto a lato), per poi passare alle varie pariglie di Gelder prese in seguito, da quella di sauri a quella di grigi.
Moyersoen è stato anche socio promotore della “Società Milanese Redini Lunghe” da me fondata, che aveva come Socio Onorario il Principe Filippo, duca di Edimburgo, e a cui tuttora fa capo la mia collezione di carrozze e accessori dell’Ottocento.
Non vorrei tralasciare un ultimo fatto che ha profondamente influenzato la futura carriera di mia figlia Amalia. Fu proprio Moyersoen che la introdusse, ancora adolescente, nell’arte della monta in amazzone; affinatasi poi, sempre su consiglio di Moyersoen con il famoso cavaliere portoghese Luis Valenca; ora Amalia calca le scene di mezza Europa in spettacoli equestri con la compagnia Cavalluna che godono di grandissimo richiamo.”
Concludiamo con il ricordo di Francesco Aletti Montano, l’allievo che frequentò la Longora per 10 lunghi anni.
“Moyersoen era un personaggio unico. Personalmente mi ha insegnato tutto quello che mi sarebbe servito per divertirmi ancora oggi a calcare i campi di gara di mezzo mondo. Fu lui che mi preparò per il mio primo concorso internazionale di pariglie a Windsor.
Moyersoen era un burbero gentile, sempre iperconcentrato sui cavalli, severo, con una disciplina tipicamente militare. Poteva però anche essere simpatico e alla fine tutti gli volevano bene anche se lui non faceva niente per farsene volere. Non cercava né la gloria né i soldi. Apparteneva alla generazione degli anni ’20 che aveva vissuto la guerra e poi il boom economico ma non era mai saltato sul carro del tornaconto economico: quello che lo interessava era il continuo contatto col cavallo in cui trovava tutta la soddisfazione di cui aveva bisogno, altre ambizioni lo lasciavano freddo.
Non prendeva però come allievo chiunque si presentasse ai suoi cancelli. Trattava allo stesso modo, con polso fermo ma mai coercitivo, sia i cavalli che gli uomini. Con i suoi allievi non era mai impositivo: semmai ripetitivo e lasciava che fossero essi stessi a trovare il proprio feeling. Trasmetteva la sua conoscenza non a parole, ma faceva in modo che l’allievo capisse da solo cosa andava fatto. Io gli sono immensamente grato per tutto quello che mi ha dato e che ha permesso che io scoprissi.”
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
E così veniamo ai giorni nostri.
Oltre a lasciare un ricordo indelebile in chi l’ha conosciuto, di lui resta una moltitudine di oggetti piccoli e grandi presenti alla Longora a testimonianza delle cento sfaccettature di una vita dedicata ai cavalli in tutte le sue declinazioni, animato da una passione che ha trasmetto a tre dei suoi quattro figli: Filippo è il cavaliere agonistico che tutti conoscono; Francesca insieme ad Orlandi promosse con successo i pony club che introdussero centinaia di bambine e bambini nel mondo del cavallo; Jean Marie, ufficiale di cavalleria, contribuì a ricostituire gli squadroni a cavallo dei Lancieri di Montebello che, inquadrati nel reggimento Granatieri di Sardegna di stanza a Roma, vediamo impegnati in servizi di rappresentanza in occasione di visite di capi di stato stranieri.
Abbiamo parlato all’inizio di come Moyersoen fosse lungimirante. Solo 10 anni fa, nel periodo in cui la rivista “Carrozze & Cavalli” veniva pubblicata in forma cartacea, si rese disponibile ad rilasciarci un’intervista inserita nella rubrica “L’Opinione”, che qui riproduciamo, invitando a meditare con attenzione sulla sua conclusione finale.
Link:
Filmato di Cavallomania (intervista)
Ultimo numero di Equitazione Lombarda (museo)