RESTAURO O RECUPERO? UGUALE DIGNITA’ PER ENTRAMBI
Si è da poco concluso il laborioso recupero di un Road Coach, l’unico presente in Italia e uno di una ventina al massimo di esemplari al mondo nati come tali. Questa impresa ha visto incontrarsi due passioni: quella del proprietario, Cesare Martignoni, da sempre votata per “vizio di famiglia” alla guida, sia su strada che in manifestazioni di grande richiamo, di mezzi che hanno fatto la storia del mondo e quella di Pasquale Orza, carradore e restauratore, attuale depositario delle esperienze trasmessegli via via dal bisnonno, poi dal nonno e dal padre Donato.

Il Road Coach “Royal Sovereign” nella sua ritrovata forma smagliante, salvato da un ignobile degrado e pronto a ripartire con il suo carico di appassionati entusiasti
Per inquadrare il background dei nostri due insigni personaggi vi consigliamo di rileggere gli articoli da noi pubblicati qualche tempo fa: “Cesare Martignoni: un trofeo alla passione” e “Antichi Mestieri di oggi. Le carrozze di Donato e Pasquale Orza”.
La storia del Royal Sovereign
Questo il racconto di Cesare Martignoni, unico italiano a far parte del Coaching Club inglese, sull’acquisizione di questo importante oggetto del desiderio.
“L’idea di poter avere un Road Coach in rimessa mi frullava nella testa da molti anni. Il problema è recuperare un Road Coach originale in quanto tale modello, già di suo, è molto più raro di un Private Coach tanto è vero che i tanti Road Coach attualmente in circolazione sono in realtà dei Private Coach modificati per cui trovarne uno nato effettivamente come Road Coach non è un’impresa facile.
Nel 2007, quando mi trovavo in Inghilterra per partecipare con i miei cavalli al Newbury Show, mi venne presentata Gloria Austin, proprietaria nei pressi di Ocala, Florida, di un grande resort con annesso un ragguardevole museo che ospita circa 150 carrozze. Negli anni siamo sempre rimasti in contatto e l’ho incontrata per la seconda volta nel 2015 a casa di Luigi Piancone, ex Presidente del Coaching Club of America. In quell’occasione la Austin mi disse che intendeva alleggerire un po’ il museo, vendendo alcuni pezzi ed io la invitai a mandarmi le foto per esaminare se c’era qualcosa che potesse interessarmi. Tra queste si trovava anche un Road Coach e decisi di comprarlo. Organizzare il trasporto non fu cosa semplice. Dalla Florida al porto di New York, da dove, alloggiato in un container, partì alla volta del porto di Anversa.

Arrivato dall’America il “Sir Walter Scott” rivela i suoi vari rimaneggiamenti non di rado errati, che non lo hanno preservato da un inesorabile declino, e si avvia a ripresentarsi in Italia nella veste di quando, nel 1883, nacque in Gran Bretagna come “Royal Sovereign”
Giunto qui, mi resi conto che la carrozza era in condizioni, non dico pietose, ma sicuramente richiedeva dei grossi lavori: c’erano delle crepe nella cassa, erano state manomesse le ruote, le vernici avevano avuto delle reazioni chimiche che avevano provocato la formazione di bolle, insomma di lavoro da fare ce n’era tanto. Con alcuni miei amici inglesi riuscimmo a ricostruirne sia la storia, scoprendo che il nome originale di questo Coach, che al momento dell’acquisto si chiamava Sir Walter Scott, era in effetti Royal Sovereign, ma fu possibile anche risalire ai vari passaggi di proprietà grazie agli archivi di vecchie foto originali.
La carrozza, così com’era, risultava inutilizzabile, quindi si trattava di decidere cosa farne. In quel periodo conobbi papà e figlio Orza e dai loro discorsi e dall’osservazione di alcuni lavori da loro eseguiti, mi resi conto che hanno delle competenze piuttosto profonde e, conoscendoli poco, con un atto di fiducia decisi di dare loro carta bianca affidando loro il lavoro di restauro per il quale ci siamo avvalsi della consulenza a distanza dei miei amici inglesi ma poi la buona volontà e la passione degli Orza sono stati un elemento fondamentale. Un’altra cosa che mi ha molto stupito è il tessuto artigianale che c’è in Campania, un’offerta variegata e di qualità, che ha fatto sicuramente la differenza.

Una totale sverniciatura rivela il colore originale che verrà apposto dopo recupero di quanto è salvabile o ricostruzione delle parti irrecuperabili adottando esattamente le stesse procedure e gli stessi materiali di oltre un secolo fa
In questo caso il restauro conservativo era una strada non percorribile, anche perché in precedenza la carrozza era stata sottoposta a vari interventi poco corretti. Io le carrozze le uso, non le tengo come in un museo. Devono quindi essere rotabili e garantire una sicurezza assoluta, considerando che qui si parla in ordine di marcia di circa 2500 Kg di peso. L’obiettivo di questo recupero era quindi quello di poter utilizzare la carrozza nel modo più sicuro possibile. Con i Coach non si scherza: se guardiamo l’immensa iconografia del tempo vediamo centinaia di immagini che ritraggono incidenti, spesso molto gravi, con questo tipo di vetture.
Un’altra cosa da sottolineare è il costruttore. Si tratta della ditta Lawton, conosciutissima soprattutto per i Gig e gli Spider Phaeton da presentazione, di un’eccezionale eleganza e leggerezza, molto fini, con ruote dai raggi sottili. Di Coach Lawton, che sappia io, c’è il mio Road Roach e un Private Coach esposto al museo delle carrozze di Arlington Court in Gran Bretagna.

J. A. Lawton & Co. of Liverpool – una prestigiosa fabbrica di carrozze
Fortunatamente, nel corso del recupero, siamo riusciti a trovare il primo strato di colore e quindi ci siamo attenuti scrupolosamente alla sua veste originale. Ma al riguardo sarà più preciso Pasquale Orza. In quanto a me, devo dire che sono pienamente soddisfatto del risultato. Inoltre avere qui in Italia un rarissimo Road Coach originale, di marca, restaurato secondo me in maniera eccelsa è un piacere inestimabile.”

Due passioni s’incontrano: Cesare Martignoni e Pasquale Orza, nella foto in basso a sinistra con il papà Donato Orza che ha collaborato al lavoro
Il cammino di una rinascita
Ora sarà Pasquale Orza ad entrare con il suo racconto nei dettagli del recupero durato un paio d’anni in quanto eseguito nei ritagli di tempo, che ha riportato il Royal Sovereign all’antico splendore, capace di dare ancora tanta gioia a chi ha la fortuna di potervi salire a bordo e a chi, appassionato intenditore, osserva un manufatto vivo, inserito nel contesto per cui era stato creato, e si riempie gli occhi di bellezza.
“Abbiamo iniziato l’impresa di recupero con l’operazione inevitabile di sverniciatura per eliminare i vari strati sovrapposti, frutto dei precedenti interventi che avevano mascherato completamente il colore originale, determinato inequivocabilmente come tale attraverso profonde indagini sulla sua composizione chimica. Le nostre ricerche ci hanno così permesso di riprenderne le esatte caratteristiche e seguire le stesse procedure sia per il fondo che per la verniciatura finale delle parti tanto in legno (cassa) che in ferro (scocca). Ovviamente il risultato non presenterà la patina del tempo, che può essere conservata solo se non vi sono mai stati rimaneggiamenti allo stato originario tanto da permettere semplicemente di integrare la vernice e sempreché ciò sia fatto a regola d’arte.

Si parte in rosso e si termina in giallo
Riportando a nudo gli assali di tipo mail abbiamo rinvenuto vari numeri tra cui una data: il 1883, presumibilmente quella della nascita di questo Road Coach. Abbiamo dovuto rifare alcuni perni spezzati dell’assale che presentano comunque esattamente le stesse caratteristiche, compresa la filettatura con il passo tipicamente inglese.
Per quanto concerne la struttura lignea, siamo riusciti a recuperare alcuni pannelli della cassa, mentre altri che erano spaccati hanno dovuto essere sostituiti con manufatti nuovi costruiti con lo stesso tipo di legno e sagomati con l’ausilio dell’acqua calda come si faceva un tempo. I sedili hanno dovuto essere rifatti in quanto quelli presenti non solo non erano originali, ma a fronte di lunghe ricerche si sono anche rivelati di errate dimensioni e dotati di ferri eseguiti con materiali decisamente attuali, che con la tradizione non hanno nulla a che vedere. L’interno della cassa per fortuna ha avuto bisogno solo di un consolidamento dei pannelli originali con tela di canapa e colla di pesce.

Alcuni pannelli vengono recuperati, i sedili, errati anche nelle misure, vengono totalmente rifatti mentre la struttura all’interno necessita solo di un consolidamento con tela e colla di pesce
Riguardo alla verniciatura, molto accurata è stata la preparazione del fondo con minio di piombo, solfato di zinco e pigmenti miscelati con olio di lino che poi è stato accuratamente carteggiato. Le parti originali in ferro sono state brunite come avveniva nell’Ottocento, quando l’intenso uso dei mezzi avrebbe danneggiato in brevissimo tempo un’impropria verniciatura. Nello stadio successivo si è proceduto alla pitturazione a mano dell’intera carrozza preparando le vernici con ossidi minerali miscelati con olio di lino riscaldati a bagnomaria e terminando con le filettature che nei Coach presentavano solitamente un solo filetto piuttosto largo.

Vernici rigorosamente prodotte ed applicate con antichi metodi artigianali
Per le tappezzerie, rifatte perché completamente assenti, è stata usata una prima fodera in tela di canapa, poi uno strato di tela di lino per terminare con il classico tessuto di cotone in Bedford Cord.
Tutti gli accessori in cuoio erano mancanti quindi siamo stati costretti a produrli ex novo sempre seguendo i modelli di carrozze della stessa epoca sia esistenti nei musei o collezioni private che tuttora in circolazione.

Tutte le parti in ferro vengono brunite, mentre tappezzerie e accessori in cuoio, notoriamente le parti più vulnerabili, devono essere rifatti
Trattandosi di un Road Coach, quindi di una carrozza che percorreva itinerari ben precisi, è stata abbastanza impegnativa la decorazione finale rappresentate dalla riproduzione sulle fiancate e sul pannello posteriore innanzitutto del nome originario della carrozza, dei nomi e delle insegne delle locande di partenza e di arrivo, nonché dei nomi delle città attraversate e degli stemmi degli ordini cavallereschi, tutti elementi certi a cui siamo riusciti a risalire attraverso la consultazione di antichi testi.”

La laboriosa fase terminale delle decorazioni pittoriche: un lavoro certosino ma di grande soddisfazione
Restauro conservativo vs recupero funzionale
Tutto quanto qui descritto ha suscitato, com’era prevedibile, una levata di scudi da parte dei puristi della tradizione che negano l’attribuzione della qualifica di restauro ad un intervento che ha comportato il rifacimento di una percentuale massiccia di parti, vuoi perché irrimediabilmente compromesse o ormai inesistenti, vuoi perché erano state completamente snaturate le caratteristiche originarie. In effetti la parola restauro, secondo la terminologia ufficiale, sta ad indicare “l’operazione tecnica intesa a reintegrare i particolari compromessi o deteriorati di un’opera d’arte o di oggetti considerati artistici o di pregio, o ad assicurarne la conservazione”. Quindi, più dettagliatamente, si può parlare di restauro conservativo solo laddove gli interventi di sostituzione integrale siano ridotti al minimo, proprio in vista di una conservazione di ciò che già esiste ma nella fattispecie si tratta sempre e comunque di restauro anche in presenza di reintegro di parti deteriorate. Secondo quanto asseriva Cesare Brandi, il restauro è “il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro”.

Ci siamo: l’imponente Road Coach è finito con tutti i suoi dettagli, ad esempio all’interno il porta-cilindri appeso al soffitto e la tasca per le mappe
Ecco quindi che il riportare in vita un manufatto esistente riconosciuto come opera d’arte di importanza storica e renderlo atto all’uso cui era destinato, soprattutto alla luce degli interventi di reintegro che seguono esattamente gli stessi procedimenti e le stesse manualità impiegati in origine, nulla toglie al significato intrinseco di restauro – forse non conservativo, ma comunque restauro. Al limite si può accettare la definizione di recupero, ma sicuramente non rifacimento che implicherebbe la creazione di un oggetto assolutamente nuovo dalla A alla Z, ottenuto anche con mezzi moderni purché il risultato sia identico al modello anche se viene a mancare “l’anima” del trascorso storico, che nel Royal Sovereign è sicuramente presente.
Un’altra puntualizzazione andrebbe fatta in merito all’opportunità di intervenire o di lasciare che, in presenza ormai di pochissimi esemplari a livello mondiale, sia più opportuno lasciare che una carrozza sia definitivamente destinata a terminare ingloriosamente la sua vita coperta di polvere, assalita dai topi, dalle muffe, soggetta dall’incuria fino a quando non sarà atta neppure ad alimentare un bel falò. E’ facile optare per un restauro conservativo quando di un determinato tipo di carrozza ne esistono varie centinaia: si tratta solo di avere la pazienza di cercare fino a quando, tra i tanti, ci si imbatte nell’esemplare in migliori condizioni, senza tuttavia che ciò vada a colmare un tragico vuoto storico.

La cura dei dettagli non ha trascurato neppure il porta-bastoni e la borsa della guardia dotata di chiave per aprire il cofano posteriore, entrambi in cuoio
Le carrozze conservate nei musei o collezioni private sono elementi incompleti di un attacco: esse erano nate per essere destinate ad essere attaccate ai cavalli che, vestiti con i finimenti adatti, percorrevano le strade del mondo. Ecco quindi che il fatto di recuperare un ormai quasi inesistente modello di veicolo a trazione animale nella sua interezza, costituisce un servizio alla cultura. Quanti sono coloro che frequentano i musei e si commuovono alla vista di un’antica carrozza, magari un po’ impolverata se non addirittura malandata? Uno sparuto gruppo. E quanti sono invece coloro che riescono a farsi un’idea precisa del loro trascorso storico potendo ammirarle nella veste per cui erano nate, ovvero per viaggiare, magari in occasione di un evento mondano di grande richiamo? Qualcuno in più certamente. Senza contare che le nuove generazioni del XXI secolo, che hanno ormai perso ogni legame con le loro radici più lontane nel tempo, non riescono a recuperare una memoria storica che non posseggono se non facendogliela vedere dal vivo.
E il motore?
Visto che stiamo parlando di un Road Coach destinato a riprendere la sua funzione di vettura viaggiante, è indispensabile un accenno a quello che è l’elemento trainante, nel senso più letterale della parola.
Se la cura nel restauro è stata incentrata anche sulla sicurezza del rotabile, altrettanto sicuri devono essere i quattro cavalli che provvedono alla funzione itinerante del mezzo meritevole, nella sua magnificenza, di soggetti adatti, di statura imponente, che non perdano potenza in andature elevate e appariscenti ma piuttosto che coprano molto terreno pur mantenendo una spiccata uniformità del gesto, idonei quindi a quello che era il loro impiego, non meramente estetico, ma soprattutto di resa lavorativa. Questa è anche la ragione per cui è perfettamente accettabile che i mantelli non siano obbligatoriamente identici.

Finora Cesare Martignoni ha sempre esibito il suo tiro a quattro di cavalli Gelder dalle andature rilevate e perfettamente identici di mantello, attaccati ad un Private Coach Holland & Holland. Ora con il Road Coach si apre una nuova pagina di un libro appassionante
Ecco allora che il signor Martignoni ha avuto il tempo, durante la lunga fase del restauro, di addestrare un nuovo team di cavalli tipicamente carrozzieri adatti allo scopo, selezionandoli dalla razza che per tradizione è quella più ricercata per questo compito: i Gelder. Questo è quanto ci rivela il nostro grande cultore del Coaching a proposito dei cavalli.
“Occorre cercare di conciliare l’esigenza di andature brillanti e distinzione con il comportamento. I cavalli devono dunque prestarsi ai repentini cambiamenti di tiro causati dalla variazione del fondo stradale; quelli di timone devono aiutare la frenata durante le fasi di rallentamento (da notare che l’uso delle braghe non rientra nei canoni classici del coaching) e devono saper fare arretrare 2500 Kg di vettura in caso di retromarcia utilizzando la sola parte superiore della collana che poggia sul collo davanti al garrese; inoltre, nelle voltate strette, visto il limitato angolo di sterzata del timone, non devono assolutamente girare di spalle.

Alcuni esempi di cavalli adatti ad un Road Coach: più massicci e con andature meno rilevate
In considerazione di tutte queste difficoltà risulta evidente che i cavalli devono avere un lavoro di addestramento particolare, specialmente i timonieri. Come già in passato ho avuto modo di scrivere, personalmente utilizzo per l’addestramento una carrozza molto spartana, in ferro, di mia costruzione che come peso e caratteristiche riproduce il comportamento di un coach, perché non è possibile preparare un team di cavalli per il coaching utilizzando una carrozza normale. L’importante è avere i cavalli psicologicamente preparati alle sopracitate situazioni e con spalle ben allenate. Per ottenere ciò occorre prepararli con calma, con molto lavoro al passo (utilizzando le collane non i pettorali) e con assennata progressione: la fiaccatura di una spalla dovuta a lavoro affrettato comporta la perdita del lavoro fatto in precedenza e lunghe attese per la guarigione.
Altro grande fattore da considerare è dato dalla bocca dei cavalli. Con il sistema di guida Howlett le quattro redini vengono tenute nella mano sinistra secondo un certo ordine e la mano destra è utilizzata solo per correzioni e cambi di direzione; risulta evidente che per avere una guida piacevole occorre che i cavalli non siano sulla mano perché se si appoggiano al morso, avendo le quattro redini sulla mano sinistra, rischiano di fare diventare un supplizio quello che dovrebbe essere un piacere, per cui occorre avere cavalli “ben imboccati”, rispettosi del morso e condotti da una mano leggera. Quest’ultima affermazione, che potrebbe apparire una banalità, è, senza forse, la cosa più difficile da realizzare. Innanzitutto per “imboccare” bene un cavallo c’è modo e modo e la mano leggera e sensibile è una cosa che pochi possiedono per natura. Normalmente la si ottiene nel tempo, educando se stessi, con concentrazione ed autocontrollo, riflettendo su quello che si sta facendo, imponendosi un’autodisciplina in cui l’azione della mano deve essere progressiva e non influenzata dalla situazioni e dagli occhi. Non mettetevi a ridere, forse mi sbaglio, ma potrebbe esserci qualche vaga affinità con le discipline ginnico-spirituali orientali.”

A sinistra la spartana carrozza tutta in ferro usata per l’allenamento; a destra la tenuta delle redini del tiro a quattro secondo la tradizione
I finimenti tipici da Road Coach
A questo punto manca ancora un particolare che non è per nulla trascurabile: l’abbigliamento – ma non quello delle persone a bordo che a sua volta segue canoni ben precisi, bensì quello decisamente più importante dei cavalli. Sì, perché se il Road Coach è una carrozza molto particolare, anche i relativi finimenti devono avere caratteristiche riprese dalla più pura tradizione, seppure non si ricorra ovviamente a finimenti d’epoca che non garantirebbero alcuna sicurezza.
Cesare Martignoni ci confida che persino in Gran Bretagna, di persone che hanno le idee veramente chiare ce ne sono ben poche. Lui però ha avuto la fortuna di incontrare un personaggio di poche parole ma di assoluta competenza in materia, Haydn Webb, che gli ha svelato man mano tutto quanto c’è da sapere in merito al Coaching in generale e alla tradizione dei Road Coach in particolare.
Ecco quindi un riassunto per sommi capi delle caratteristiche dei finimenti tipici da Road Coach.
Partendo dalla briglia, la cosa che salta subito all’occhio è il frontalino, caratterizzato non già da abbellimenti in catena o simili, ma da strisce di cuoio verticali, a colori alternati, che richiamano la vernice della carrozza e la cui solidità fa il paio con le dimensioni leggermente maggiorate dei paraocchi. Per la nasiera non vi sono regole imprescindibili ma il signor Martignoni, forte della sua esperienza di guida lunga svariati decenni, predilige un tipo che ne permette una regolazione molto efficace, sempre per motivi di sicurezza. In quanto all’imboccatura, a differenza del Private Coach per il quale la tradizione prevede l’impiego del morso Buxton, nel Road Coach la scelta è tra il Liverpool e il morso a gomito (detto anche militare o a baionetta – in inglese Military Elbow Bit).

La briglia con un particolare della nasiera e un team di cavalli con la tipica imboccatura “a gomito”
Ovviamente i pettorali sono assolutamente vietati. Le collane, contrariamente al resto dei finimenti che sono neri, vengono fabbricate sempre in colore cuoio chiaro. Per l’attacco del boucletau è previsto un anello e i bastoni presentano nella parte inferiore, quindi alla base del collo, un maglione dotato di catena. Siccome il Road Coach era destinato a lunghe percorrenze che all’occasione comportavano il cambio dei cavalli, non sempre con le stesse dimensioni del collo, al cuscino della collana, una volta privata dei bastoni, è facile dare una sagomatura più confacente per il nuovo cavallo ma è grazie alla catena che i bastoni possono essere regolati convenientemente.

La collana, per tradizione in colore cuoio chiaro, con tutti i dettagli
La martingala, che viene agganciata alla collana per impedire che si alzi fino al livello del naso dei cavalli, è presente solo per i timonieri che devono provvedere a frenare, soprattutto in discesa, e a far indietreggiare la carrozza. Inutile e quindi mai presente per i cavalli di volata, sia perché nelle fasi di cambio dei cavalli rallentava l’operazione, sia perché, quando si tratta di attività lucrativa, si tende ad eliminare tutto il superfluo.
Un’altra particolarità da sottolineare è che l’intero finimento non deve mai essere fabbricato cucendo uno strato di cuoio sull’altro. Un unico strato, spesso anche 5 mm, che in assenza di cuciture risulta molto più sicuro contro il cedimento del filo.

Alcuni dettagli: la groppiera, il cuoio in un unico strato molto spesso e i sellini dalla forma a pagnotta
I sellini hanno una base di appoggio più larga, un po’ a forma di pagnotta, e sono un pezzo unico con il sottopancia che può essere affibbiato solo da un lato. Si avrà quindi un sellino sinistro ed uno destro.
La groppiera, con il sottocoda non affibbiato ma parte integrante della groppiera stessa, può essere di foggia normale ma esclusivamente per i timonieri; è tuttavia preferibile che tutti e quattro i cavalli abbiano le groppiere fabbricate sul modello delle martingale onde evitare che le redini vadano ad impigliarsi sotto la punta del riscontro.

Le giungole di catena con il particolare gancio sagomato con punta a pallino e i semplici terminali delle tirelle dei timonieri che vengono infilate sui funghi ed assicurate dal passante a strozzo
Le tirelle dei timonieri terminano con un semplice raddoppio e un passante di cuoio a strozzo, e vengono infilati sui funghi senza alcun tipo di gancio mentre l’aggancio delle tirelle dei cavalli di volata è normale, a occhiello (letteralmente, dall’inglese, “a occhio di gallo”).
In quanto alle chaînettes che si attaccano al timone (sempre più basso rispetto alla norma, ovvero ad esempio posizionato a 110 cm con cavalli alti 170 cm), si tratta di catene semplici e molto robuste, dotate di un particolare gancio sagomato con un restringimento al centro per alloggiarvi un anello di sicurezza in gomma e la punta a forma di pallino per impedire che se il cavallo abbassa la testa non solo possa ferirsi, ma soprattutto non vi rimanga impigliato col morso o con la briglia fino a togliersela.
Recupero della carrozza terminato, cavalli con un buon grado di addestramento concluso, finimenti in fase di ultimazione: si può finalmente partire. L’inaugurazione ufficiale dell’unico Road Coach rotabile in Italia è prevista in autunno con una presentazione davanti alla Villa Reale di Monza alla presenza delle autorità, degli appassionati, della televisione e – speriamo – di tanti spettatori che non vorranno lasciarsi sfuggire un’occasione irripetibile – a meno che non vogliano in un prossimo futuro andare ad ammirarlo in tutto il suo splendore al Meeting riservato ai Coach, ivi compreso quello appartenente alla corona britannica, che si tiene ogni anno in maggio nel parco del castello di Windsor.