Slitte e Calessi nelle memorie di Mario Rigoni Stern
SLITTE e CALESSI nelle memorie di Mario Rigoni Stern
Nel 2008 tutti noi, ma anche la Cultura con la “C” maiuscola, ha perso una figura importante: Mario Rigoni Stern. Nato ad Asiago nel novembre del 1921 quest’anno ricorre il centenario della sua nascita e ci teniamo a ricordarlo perché l’illustre scrittore nato e vissuto ad Asiago da tempo immemore, possiede o meglio possedeva tantissime affinità con il nostro mondo equestre a redini lunghe fatto di tradizioni, memorie e attività sportivo-turistiche eco compatibili all’aria aperta. Tanto si è detto su di lui, quel Poeta-scrittore legato alle tradizioni e ai valori delle sue montagne, ma mai con troppa enfasi perché le sue idee ecologiste da uomo che sapeva e che capiva, vent’anni fa si scontrarono con il mondo della cementificazione, del turismo automobilistico e motorizzato e dell’arrivo dei “Conquistadores” di boschi e prati segnati dagli stessi in maniera indelebile da rifiuti plastificati. Chiaramente il mondo automobilistico e petrolifero ebbero la meglio e il mondo dell’informazione calò leggermente il sipario.
Oggi vogliamo riaprire il sipario sullo scrittore di Asiago grazie ad un amico comune, nostro e dello scomparso Mario Rigoni Stern: Ivo Baldisseri. In pochi conoscono la raccolta di antiche slitte di Ivo Baldisseri.Tutti questi capolavori sono raccolti in un prezioso Catalogo la cui introduzione con relativa presentazione, venne autografata proprio da Mario Rigoni Stern. Fu un caso? Una conoscenza fortuita? No, semplicemente una bella amicizia che si consolidò nel tempo tra Ivo Baldisseri,e Mario Rigoni Stern. La semplice conoscenza delle due persone con il trascorrere del tempo si trasformò in amicizia e se Mario Rigoni era poeticamente impegnato a scrivere libri sugli accadimenti del genere umano, anche Ivo Baldisseri seguiva le stesse orme collezionando slitte, carrozze, finimenti e oggettistica varia i quali, a modo loro, raccontavano le medesime vicissitudini del genere umano. Da un vecchio ritaglio di giornale apprendiamo che i due artisti, pur percorrendo strade diverse, avevano un’unica mèta e gli stessi (fantasiosi) obbiettivi: un mondo umanamente più compatibile con i suoi abitanti fatti di carne e ossa che tiravano avanti mangiando polenta e salciccia e non petrolio e ossido di carbonio!
Il titolo e relative immagini sottostanti sono eloquenti e non lasciano trasparire nessun dubbio, come indica la scritta autografa di Mario Rigoni Stern incisa sulla lapide posta da Ivo Baldisseri nel suo rifugio alpino nel 2001:
“ Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su di una slitta tirata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo.”
Passione e Tradizione
Come tutte le eccellenze che si elevano sopra il mare della normalità, è da segnalare la passione come elemento-cardine che più di ogni altra cosa incide su commenti e valutazioni. Noi come osservatori dal veloce click-fotografico notiamo il peso e la qualità di una valutazione del Giudice di Tradizione Ivo Baldisseri quando riconosce a colpo d’occhio un’antica carrozza datata 1870 completamente pitturata con vernice acrilica a spruzzo, invece che con le normali tecniche a pennello con filettature appropriate. Lavorazioni fatte con che motivazioni, a quale scopo? Forse la fretta, il logorio frenetico dei tempi moderni, il poco tempo per pensare e per riflettere con il cervello invece che con il “mouse del PC”, probabilmente si sente il bisogno di ritornare indietro nel tempo per certi versi, ma come?
Ce lo spiega lo stesso Mario Rigoni Stern in una lettera autografa che inviò all’amico Ivo Baldisseri prima della sua morte:
“ Il bisogno di rallentare il passo”
di Mario Rigoni Stern
Ritorno da un frettoloso viaggio in una grande città e da duecento chilometri in autostrada. Traffico intenso tra pareti di autocarri giganti, aria densa e puzzolente, rumore continuo. Ora sento il bisogno di silenzio, di fare una doccia, di camminare per il bosco. Mi chiedo: “Perché viviamo così?” . Durante il viaggio, fingendo di essermi appisolato, ricordavo quando andavo per gli alpeggi sul calesse di mio padre e il cavallo Reno; ricordavo di quando, due anni fa, il signor Ivo mi portò in passeggiata sulla sua landò tirata da una quadriglia di morelli per una strada forestale tra i secolari abeti della Marcesina. Ricordavo una visita di vent’anni fa alla Belovezskaja Pusca lungo una strada tortuosa nella foresta pianeggiante e a tratti paludosa, così tracciata nell’Ottocento per far godere la gita in giardiniera ai nobili europei ospiti degli zar. Anche, ricordavo, che nella buona stagione dell’alpeggio, un contadino mio vicino attaccava il suo baio a un biroccino e saliva al pascolo per mungere le sue vacche. Così alla sera. I figli, che avevano intrapreso altri lavori, volevano regalargli un trattore per rendere meno faticoso il lavoro. Lui rifiutò dicendo: Al mio cavallo posso parlare, a un trattore no.