testo e immagini a cura di Giuseppe Angiulli

 

Una foto per ricordare – Zanardelli con il tipico attacco all’Italiana a 3 cavalli durante la sua visita in Basilicata nel 1902

Devo dire grazie al gentile amico Pasquale Giampetruzzi da Santeramo in Colle (BA), alla sua passione e alla sua curiosità se sono venuto a conoscenza di una storia che in nessun libro di storia è mai stata raccontata.

Il Giampetruzzi, recentemente in giro per lavoro, entrando in un ufficio in Basilicata e precisamente nella zona di Ferrandina, vede appesa al muro una foto e subito chiede se è possibile fare uno scatto con il telefonino, poi quasi in contemporanea me lo invia.

Il messaggio mostra una carrozza su cui viaggiano delle persone che sono fuori dal contesto del quadro che si presenta sullo sfondo.

Schizzo dell’attacco all’Italiana descritto nell’antico manuale di Salvatore Villani

Quello che più mi colpisce è l’attacco all’italiana citato da Salvatore Villani nel libro Manuale ovvero metodo teorico-pratico per addestrare i cavalli da tiro: con pochi mezzi e facilità e renderli docili e destri alla voce del guidatore” che il caro Fabrizio Canali mi aveva fatto conoscere e di cui avevo apprezzato il contenuto.

Infatti come si potrà notare con maggiore nitidezza dalla foto originale, recuperata in un secondo momento, al bel landau sono attaccati tre cavalli in linea. Chiunque avrebbe descritto questo come un attacco à l’évêque, mentre si tratta di un attacco all’italiana descritto appunto dal Villani nel suo libro pubblicato nel 1857. L’autore, nel descrivere l’attacco di una carrozza che necessita di un tiro a quattro, suggerisce un rimedio nel caso di indisponibilità del quarto cavallo: attaccare il terzo non di punta ma al lato sinistro della pariglia. Queste le sue parole: “Qualche volta non volendo attaccare tre cavalli in su le aste per campagna si stima meglio di attaccarli con il timone ed il bilancino posto nel lato sinistro per il terzo cavallo”.

Targa in ricordo dell’evento

La difficoltà di individuare in quale occasione fosse stata scattata la foto purtroppo non permetteva alcun commento, anche se una data poteva essere un indizio. Ecco che la curiosità mi impone di indagare e le circostanze ben presto si materializzano: la data è il 21 settembre 1902 e il luogo la Valle del Sauro. Parte in me un desiderio di approfondimento e per fortuna la ricerca, con i mezzi che la tecnologia oggigiorno ci mette a disposizione, dà risultati inaspettati.

La foto ritrae il primo ministro Giuseppe Zanardelli durante una visita fatta in Basilicata nel 1902 e la foto fu fatta durante il tragitto da Corleto Perticara (PZ) a Stigliano (MT).

Zanaerdelli, chi era costui?

Giuseppe Zanardelli (1826-1903) era un politico bresciano protagonista indiscusso della vita politica dell’Italia post-unitaria sensibile alle esigenze democratiche in un periodo storico molto combattuto.

Al nome di Zanardelli furono legati importanti provvedimenti. Innanzitutto va ricordata la riforma del codice penale, nell’ambito della quale fu abolita la pena di morte. Non solo. Fu sancita la libertà di sciopero, di riunione e di associazione. Si perseguirono gli ecclesiastici che, avversi allo Stato unitario, spingevano alla ribellione e alla disubbidienza. Quanto ai provvedimenti di natura economica e sociale, notevoli furono l’abolizione del dazio sulla farina e l’introduzione di una rigorosa normativa sul lavoro minorile e femminile. Tentò inutilmente, anticipando di molto i tempi che poi ne videro la realizzazione, l’introduzione del divorzio, presentando apposito disegno di legge. Come tutti gli uomini di alto rigore morale e intellettuale, ebbe nemici, sia a destra che a sinistra. Naturalmente contrari gli furono i cattolici.

Era il 1902 e il primo ministro su sollecitazione dei politici lucani aveva intrapreso un viaggio che lo avrebbe portato da Roma in giro per le terre di Lucania.

II viaggio ebbe inizio domenica 14 settembre. Il Presidente del Consiglio era diretto a Napoli, prima tappa del tour. Lo accompagnavano vari ministri, segretari, sottosegretari e c’era anche un discreto numero di giornalisti e fotografi in rappresentanza di prestigiose testate, tra le quali il “Secolo XIX”, la “Tribuna”, il “Corriere della Sera”, la “Patria”, il “Mattino”, il “Roma” e il “Carlino”.

Il 17 settembre arrivò in treno a Lagonegro da dove il 18 nel primo pomeriggio ripartì in carrozza per Montesano per arrivare la sera a Moliterno.

Considerando il numero dei componenti la spedizione e aggiungendo i personaggi locali che facevano da guida e le rappresentanze istituzionali si possono facilmente ipotizzare almeno cinque carrozze che si accingevano  a compiere un viaggio impegnativo in un territorio dove le strade erano ancora un sogno. Infatti il progetto borbonico del 1820 di dotare il meridione d’Italia di ventimila chilometri di strade si era interrotto con le mutate condizioni politiche dell’Unità d’Italia.

Viene spontaneo pensare a quali fossero le condizioni in cui fu effettuato questo lungo viaggio in carrozza di circa 200 chilometri da Lagonegro a Nova Siri, dove la comitiva poi riprese il treno sino alla fine della visita.

Zanardelli in landau sulla strada per Stigliano

Nel  viaggio furono percorse strade rotabili che collegavano la regione, ma, il più delle volte, si dovette fare affidamento su vie più impervie segnate solo da tracce; infatti la prima tratta da Lagonegro a Moliterno fu deviata da Montesano, raddoppiando il percorso per via della impossibilità di percorrere un tracciato più breve per mancanza di vie carrabili.

Il viaggio, analizzando il tragitto e le date riportate, aveva tappe distanti tra loro circa 45 chilometri con brevi soste per avere colloqui non solo con le autorità, ma anche direttamente con la popolazione per verificare di persona le condizioni socio-economiche e culturali delle genti interessate. Dalle testimonianze fotografiche rileviamo inoltre che in quell’occasione Zanardelli presenziò tra l’altro all’inaugurazione di tratti di nuove strade carrabili e di una casa cantoniera in agro di Stigliano; immagine eccezionale infine quella che lo ritrae mentre si accinge a guadare il fiume Agri su un carro trainato nientemeno che da bufali.

Zanardelli a bordo di un eccezionale attacco di bufali

L’attenzione del primo ministro per lo sviluppo dell’agricoltura è testimoniata da foto che lo riprendono mentre visiona alcuni aratri usati con l’ausilio di muli o cavalli.

Zanardelli, molto interessato alle condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni locali, osserva con interesse una serie di aratri a trazione animale

Viene spontaneo pensare a quali fossero le condizioni in cui fu effettuato questo lungo tragitto, considerando che il viaggio in carrozza fu di circa 200 chilometri da Lagonegro a Nova Siri, al termine del quale Zanardelli ed i suoi accompagnatori ripresero il treno sino alla fine della visita. Ma questa è un’altra storia.

Zanardelli (senza cappello) sul landau di un proprietario terriero della zona, guidato da un cocchiere in elegante livrea chiara

Ecco un pezzo di vita vissuta che ci fa riflettere sull’uso delle carrozze oltre un secolo fa, con i cavalli usati con inaspettata maestria da bravi cocchieri e la cura dei particolari nel presentare al meglio i cavalli e le carrozze, nonché se stessi.

Quarta di copertina del volume “Giuseppe Zanardelli in Basilicata” di Malvasi e Romano, Edizioni Magister

 

P.S. – Un doveroso ringraziamento ai nostri assidui lettori (01/02/2021)

Anche a chi, vero appassionato e fortemente legato alle proprie radici, si impegna in ricerche entusiasmanti seppur faticose, con lo scopo di arricchire il proprio bagaglio storico-culturale e diffondere la conoscenza, può capitare involontariamente di inciampare. Quando i documenti sono scarsi e poco chiari, niente di più facile che giungere a conclusioni fuorvianti.

E’ il caso dell’articolo di cui sopra.

Per fortuna le nostre pagine vengono lette da una schiera ragguardevole di appassionati che si fanno coinvolgere e, quando in possesso di ulteriore documentazione inconfutabile, si fanno carico, per onore della correttezza, di integrare o correggere quanto precedentemente illustrato.

Questa volta dobbiamo ringraziare l’avv. Ferdinando Bruni che ha fornito alla nostra Redazione una prova certa della svista occorsa all’autore dell’articolo. Se in una sorta di quiz avessimo chiesto a bruciapelo ai nostri lettori quanti cavalli vedessero nell’immagine di apertura, siamo convinti che la risposta unanime sarebbe stata: TRE. Un po’ come chiedere di che colore era il cavallo bianco di Napoleone…

 

 

Ebbene no. Come si vede distintamente nella fotografia fornitaci dall’Avv. Bruni, scattata nel corso della stessa tappa del viaggio anche se in un diverso tratto di strada e con diversa angolazione, i cavalli sono QUATTRO, sempre attaccati di fronte. Si tratta dunque di un tiro a quattro, ma che tiro a quattro! Un attacco veramente più unico che raro, soprattutto se lo si mette in relazione ad una carrozza elegante in un’epoca che è ben lontana dalla tradizione della “quadriga” romana, in cui questo tipo di attacco affonda le proprie origini.

Anzi, l’avv. Bruni, grazie alla sua profonda conoscenza delle usanze locali, ci ha gentilmente fornito ulteriori interessanti appunti riguardo a questo tipo di attacco.

“Si tratta di un inusuale tiro a quattro di fronte ottenuto attaccando a due bilancini esterni altri due cavalli oltre la pariglia di timone, secondo la tecnica in uso in queste zone anche per gli attacchi da lavoro. Infatti come si vede dalla foto del carro agricolo carico di olive da voi pubblicata con il titolo “Un Carico di Oro”  (https://www.carrozzecavalli.net/2020/05/un-carico-di-oro/) gli equini ai bilancini sono attaccati secondo la stessa tecnica, ovvero una redine esterna nelle mani del guidatore ed una guida fissa interna attaccata alla collana del cavallo di stanghe (nella foto della carrozza tale guida è attaccata alla testa del timone).
Ancora nella foto del landau si notano finimenti di foggia napoletana ed i quattro cavalli per dimensioni, mantello e portamento ricordano il corsiero neapolitano. D’altronde l’immagine è stata scattata a soli 40 anni dall’unità d’Italia. Non si vede bene ma sembrerebbe che i cavalli fossero muniti di imboccatura e di serretta, anche questa tipica del sud Italia.
Tutto l’attacco potrebbe esssere stato di proprietà del barone Berlingieri del feudo di Policoro.
Credo che tale modo di attaccare sia stato dettato anche dall’esigenza di disporre della forza di tiro sufficiente a percorrere le impervie strade di montagna dell’epoca con la carrozza carica e con tale personalità a bordo.”

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Rimasti “orfani” della rappresentazione del tiro a tre all’italiana, lanciamo una sfida. Chi tra i nostri lettori riesce a scovare tra le proprie foto di famiglia una che lo rappresenti? Saremo lieti di pubblicarla ad integrazione della disquisizione su tale tipo di attacco.