LA  TREGGIA  CON  DUE  MONACI  NEI  BOSCHI  DELL' EREMO  INNEVATI  A  META'  800

LA TREGGIA CON DUE MONACI NEI BOSCHI DELL’ EREMO INNEVATI A META’ 800

 

LA  TREGGIA  ED  IL  TREGGIOLO  DELL’EREMO  DI  CAMALDOLI

Dai palazzi di Firenze alle navi di Livorno il legname viaggiava su treggia.

Origini dell’Eremo di Camaldoli

Una delle fonti più attendibili sull’origine dell’Eremo di Camaldoli resta un “diploma” con cui Teodaldo di Canossa, Vescovo di Arezzo donava nel 1027 all’eremita Pietro Dagnino discepolo di Romualdo di Ravenna, un’area boschiva di 160 ettari denominata “Campo Malduli” o “Amabile”. Quello di Camaldoli, insieme a tanti altri, era un luogo di meditazione creato e ideato da San Romualdo il quale, in veste di eremita-intinerante  dal  990 al 1027 (anno della morte) diede vita ad una serie di fondazioni nelle terre di Toscana, Marche, Romagna e Veneto. Questa mia breve parentesi storica contiene un importante nesso con il nostro discorso riguardo  i trasporti terrestri a trazione animale ed ora vedremo il perché.   San Romualdo nei Monasteri che fonda e riforma lungo tutto l’appennino centrale, tiene sempre presente che la posizione di questi sia a ridosso delle principali vie di comunicazione del tempo, la Flaminia, la Cassia, la Salaria e tutte le diramazioni della via Romea.  Si diffusero così ospedali, ospizi e ricoveri gestiti dai Monaci che con il passare del tempo si rivelarono tappe di appoggio e ristoro importantissime per viandanti e pellegrini.  Quale fu il segreto di tanta abilità e lungimiranza di San Romualdo?    San Pier Damiani  suo contemporaneo scrisse di lui  “ Tacente lingua et predicante vita “

La VEDUTA DELL'EREMO -ROMUALDO DI RAVENNA che dialoga con suoi discepoli - LA TREGGIA

La VEDUTA DELL’EREMO -ROMUALDO DI RAVENNA che dialoga con i suoi discepoli – LA TREGGIA

 

 

IL  TRASPORTO  DEL  LEGNAME  SUL  TREGGIOLO

La nascita di una vera e propria organizzazione commerciale Camaldolese per la vendita del legname avveniva nel 1458 con la costruzione di una segheria idraulica edificata a  lato del monastero di Fontebuono. Il legname  tagliato dalle foreste casentinesi arrivava alla segheria tramite “ treggiatura”.  La” treggiatura”  implicava l’uso di specifici veicoli privi di ruote, come quello in uso a Camaldoli denominato “traino o traina”, una sorta di slitta che nella sua forma più semplice era costituita da due legni arquati a un’estremità, detti “ludini”, e disposti a  Y  trainata da “ un pajo di bovi “ e sulla quale il legname era caricato e trasportato a strascico dal bosco fino alla segheria ad acqua oppure agli  imbarchi  fluviali.  Gli addetti al trasporto terrestre del legname dalla foresta al Porto erano i “ bifolci “ che si occupavano anche del mantenimento dei buoi e delle attrezzature.  Nei documenti a noi pervenuti  si fa riferimento anche al “ treggiolo”, una variante più evoluta del traino che consentiva un migliore accatastamento del legname.  Il momento più critico del trasporto era quello dello  “ smacchio “, ovvero il trasferimento del legname dal letto di caduta in bosco alle  “bordonaie”, vere e proprie “piste forestali”  ben battute e segnate ai lati da pali di legno infissi a terra per ridurre i danni alle testate dei tronchi a contatto con il suolo. Il legname da li veniva poi caricato a seconda della sua grandezza su treggie e treggioli  per essere trasportato ai porti fluviali attraverso le vie di smacchio o bordonaie.

A sinistra il Treggiolo che come si vede permetteva l'accatastamento dei legni corti - A destra il Regolamento per il taglio del bosco.

A sinistra il Treggiolo che come si vede permetteva l’accatastamento dei legni corti – A destra il Regolamento per il taglio del bosco.

 

  Un’immagine di tale complessa operazione ci viene descritta da  Antonio Bartolini (1879) nel suo Diario di viaggio in Toscana :   “ prima che quèlegni, i quali hanno spesso smisurate dimensioni, siano condotti a una via alquanto battuta, vi è l’opera più faticosa di smacchiarli (toglierli di mezzo alla macchia) ove si atterrano a colpi di accetta, e trasportati a una strada men disagiata che chiaman treggiaia.  A ciò si adoprano dieci, quindici ed anche venti paia di bovi, che conducono si fatti legni in luogo donde sia poi molto più facile strascinarli. Si fanno li per li a forza di zappa passi meno disagevoli e sentieruzzi, si sottopongono rulli alla trave, si giuoca di manovelle, si costringono i bovi a inerpicarsi per erte precipitose, si cangia di tratto in tratto la direzione, spesso le diverse forze, perché non operano tutte a uno stesso tempo, riescono inutili, non è raro il caso che schiantandosi per soverchia tensione o attrito il robusto canapo, che riuniva le forze di quelle povere bestie, una parte di esse siano trascinate e travolte dal peso del legno che precipita indietro”.  

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  Nei primi decenni del XIX° secolo il trasporto del legname divenne problematico, per i costi elevati e per gli importanti effetti socio-economici che un suo ammodernamento avrebbe determinato in una filiera forestale tradizionale come quella del Sacro Eremo.  Traini e treggioli furono utilizzati prevalentemente fino ai primi decenni del 1800 quando una migliore viabilità ed i crescenti costi della manodopera resero più conveniente utilizzare il  “baroccio” e determinarono la fine del trasporto a traino, della “foderatura” e la conseguente chiusura del  Porto di  Poppi.  Nel frattempo il trasporto carrabile era diventato molto più veloce, più sicuro e meno faticoso per i buoi in quanto  “ il carro era a quattro rote con lo sterzo e stante l’aiuto della martinicca si evita il peso sul collo dei bovj “  Il progresso si faceva avanti un pò per tutti, gli ultimi a beneficiarne furono i “poveri-bovi” che dovettero attendere un altro centinaio di anni prima di guadagnarsi il meritato riposo. 

 

Ringraziamo per la preziosa collaborazione il Prof. Giovanni Caselli , Antropologo ed i Sig.ri Carlo Urbinati e Raoul Romano autori del trattato storico  Foresta e Monaci di Camaldoli.