L’Elogio del Cavallo Agricolo
Correva l’anno 1977 quando Paul Watzlawitch firmava il primo assioma della comunicazione che fin da subito risultò come l’essenza di un nuovo concetto di Comunic-Azione estesosi dagli anni 80 fino ad oggi, non senza un lungo periodo di incubazione cui, nonostante le naturali resistenze del caso, si è fortunatamente convertito tutto il sistema pubblicitario occidentale, e non solo: “Non si può non comunicare”. Messaggi, contenuti, forme, la comunicazione è una materia che ovviamente non può essere sintetizzata in dieci righe. Tuttavia partendo da queste cinque paroline messe lì, apparentemente quasi per caso, mi piacerebbe presentare un “cavallo” e per essere precisi una “razza” al contrario, con un “case study”, così, tanto per stare al passo coi tempi.
Sono due i dati sui quali mi sono soffermata a riflettere già da diverso tempo, al ritorno dalle numerose mostre ed eventi che vedono coinvolto il “Cavallo Agricolo Italiano da Tpr” da nord a sud un po’ in tutta la penisola: in primo luogo, l’indice di gradimento registrato tra gli spettatori; secondo poi, la volontà da parte degli allevatori di partecipare agli eventi, grandi o piccoli che siano, di sentirsi parte attiva di un comparto ancora a matrice fortemente zootecnica sia per la soddisfazione personale di veder sfilare i propri soggetti al di là dei ring di pertinenza; sia, aspetto non slegato sebbene tuttavia conseguente, l’apprezzamento degli stessi in senso ampio da parte di un pubblico eterogeneo di non strettamente “addetti ai lavori”, sentendosi integrati in un tutto (la razza) da valorizzare in chiave moderna non più solo come promozione commerciale dei singoli, ma anche come sensibilizzazione verso il territorio, le sue tradizioni rurali nelle svariate possibili forme che ne hanno segnato la storia fin dal 1927, allorché venne istituito il Libro Genealogico.
In che modo il TPR non può non comunicare? Innanzitutto con la presenza. La mole senza dubbio aiuta, inquieta, affascina, colpisce… ma non è tutto. Cavalli che sfilano su un ring, condotti alla mano, schierati a spina di pesce, poi chiamati singolarmente a fare un paio di vasche prima al passo, poi al trotto. Un paio di persone al centro del ring, probabilmente i giudici, li osservano da tutte le angolazioni possibili, un presentatore al microfono da dentro un box regia racconta per ogni soggetto presentato di allevamenti di provenienza, genealogie, discendenze, antenati, linee di sangue in un misto tra intrattenimento e doveroso tecnicismo legato al momento tecnico delle presentazioni.
E’ la morfologia.
Poco lontano un altro presentatore rassegna una ventina di soggetti stavolta vestiti di tutto punto tra tradizione ed eleganza in una parata di carri agricoli, cavalli sellati, carrozze di forge differenti che poco più tardi si esibiranno nel carosello di razzo ognuno con il “numero” che è riuscito a preparare per la grande occasione. E’ lo show.
WOH: gli spalti dei ring sono sempre gremiti. Non può essere che tutta queste persone sian lì soltanto perché il TPR ha una bella presenza. E’ un cavallo che nell’immaginario collettivo genera una sensazione di armonia: la gente si sofferma e poi si accomoda inevitabilmente sulle gradinate a guardare i molteplici sketch quasi ammaliati da una sorta di pifferaio magico invisibile che racconta un cavallo attraverso le infinite e sempre diverse immagini che questo cavallo naturalmente si presta a recitare.
Da qualche anno a questa parte infatti in occasione di mostre, fiere, meeting e manifestazioni incentrate sul cavallo agricolo, un ampio spazio viene riservato agli aspetti attitudinali di questa razza, in particolare alle attività ludico-ricreative legate a diverse forme di “trazione animale”: dall’attacco agricolo, cimentandosi nel traino di tronchi, slitte e carri contadini, per arrivare all’attacco moderno, presentando soggetti attaccati a maratone, break e wagonette, capaci di destreggiarsi anche in ardite prove di maneggevolezza in piano e percorsi di agilità come previsto dai regolamenti. E va sempre sottolineata la grande capacità degli “allevatori” che, sebbene dediti ad altre impegnative attività, abbiano manifestato fin da subito grande entusiasmo nell’adeguarsi spontaneamente e con esiti ammirevoli ai cambiamenti legati alla valorizzazione dei propri soggetti in ambiti diversi. E va ancor più elogiata la grande capacità mentale, l’human-sense per dirla in termini etologici “moderni” seppur al contrario, di questi cavalli che ben si prestano ad essere animali da compagnia e che con sforzo non eccessivi si dimostrano cooperativi al punto di poter essere tranquillamente considerati “cavalli da show”. Ossimori viventi: è questa la forza “intrinseca” dei cavalli agricoli. Animali pesanti che già nel nome si etichettano come rapidi… ma anche duttili, versatili ed affidabili. Rientrati alla base dopo aver affrontato solo l’ultima fatica dell’estate 2013 e subito commenti, chiacchiere, foto-ricordo, qualche “tag” su FaceBook e subito il tam tam ricomincia…. così come le prime telefonate tra gli addetti ai lavori: “Allora a RomaCavalli che si fa? E la Mostra di primavera? E la festa di Sant’Antonio? […] Chi va di qua, chi di là…? E quest’inverno? E in Fieracavalli?”
Non c’è niente da fare… è proprio una dipendenza.
Una dipendenza bella, pulita, che si allarga a macchia d’olio ogni volta di più e che rappresenta solo uno dei punti di forza della razza.
E’ la razza che ho scelto di vedere in giardino perché le sue forme appagano l’occhio umano (e non soltanto il mio a quanto pare); è il cavallo con cui mi piace giocare nel tempo libero perché si trasforma naturalmente in un atleta dalla nevrilità inaspettata, capace di stupire il pubblico con la sua eleganza e fierezza, calandosi nel personaggio che gentilmente si presta ogni volta ad interpretare.