Le origini della veterinaria
Per trovare le prime tracce che parlino della professione veterinaria dobbiamo fare riferimento al Codice di Hammurabi (2250 a.C.) nella antica Babilonia ed al papiro di Kahun (1900 a.C.) ritrovato in Egitto.
Nel primo ritrovamento si descrivono gli onorari ed i doveri dei medici veterinari, nel secondo caso si certifica l’esistenza di una professione veterinaria e si descrive una “esplorazione ed evaquazione rettale di un bovino”. A piccoli passi questa nuova arte medica iniziava ad assumere sempre più importanza come si deduce da “Historia Animalium” scritta da ARISTOTELE (384-322 a.C.) dove per primo descrisse l’ernia strangolata del cavallo consigliandone la castrazione.
Nell’epoca Romana LUCIO GIUGNO COLUMELLA nel suo “De Re Rustica” mise in atto per primo l’isolamento degli animali ammalati e consigliò l’uso dell’Artemisia per il trattamento degli ascaridi nei vitelli con ottimi risultati. Oggi a distanza di centinaia di anni ci è noto che le “artemisie” contengono la “Santonina” una sostanza avente una forte azione vermifuga. Prerogativa di questi nuovi veterinari era il consigliare appunto le medicine usufruendo di quello che a quei tempi era disponibile .
LA FITOTERAPIA, ( medicamenti estratti dalle piante) ebbe un notevole impulso attraverso i secoli grazie alla “medicina dei Monaci Benedettini” che nei giardini claustrali coltivavano vari tipi di erbe a scopo terapeutico, che per quei tempi si dimostravano molto efficaci, come dire tra il “poco” ed il “niente” è meglio il poco. Da antichi scritti leggiamo; “decotto di semi di viole o polvere di elleboro per cagne impossibilitate a partorire, foglie di salcio a digiuno per la febbre dei buoi, infuso a base di cocomero per i maiali ammalati”. Oltre alle erbe come rimedi si affiancavano gli “Stercorari”.
L’uso di vari tipi di sterco animale associato ad altre sostanze è accuratamente documentato nei Sacri Libri degli Ebrei, nei geroglifici Egiziani e nei libri Greci e Romani. Particolare menzione per lo sterco d’asino, lo sterco di cicogna e quello di volpe, lo sterco della capra sciolto nell’aceto aiutava a sgonfiare le gambe, mentre lo sterco di cavallo fresco unito alla creta e all’aceto veniva utilizzato per stagnare il sangue. A dare man-forte a questi rimedi si utilizzavano anche sostanze minerali come l’ossido di zinco per le sue proprietà rigenerative ed antisettiche, zolfo, argento vivo e trementina per la cura della scabbia. In questo contesto un posto di riguardo merita Santa Ildegarda di Bingen che vedeva le piante come grande forza della natura ed uno dei mezzi più idonei per curare le malattie. Santa Idegarda iniziò a mischiare tra di loro varie sostanze al fine di ottenere risultati ancora più efficaci come per le coliche del cavallo dove consigliava “ infuso a base di malva, marcorella, brancorsina, violaria e parietaria con aggiunta di miele, sale, olio e semola di grano da somministrare tramite una cannula.
Interessante l’uso “lenitivo” del miele che anni dopo veniva abitualmente usato quando il puledro iniziava a prendere il morso in bocca, e l’uso della “vitriola” e della radice dell’asparago contro la ritenzione dell’urina. Torniamo a parlare di animali perché essi furono da sempre considerati come un potenziale nemico dell’uomo ma intorno all’anno 1000 questa mentalità iniziava a cambiare e si iniziò ad allevarlo ed addomesticarlo. Fu così che tanti animali si preparavano a divenire utili ed indispensabili amici dell’uomo, ragion per cui, mandriani, porcari e stallieri furono le prime categorie di persone che dovendo convivere e dividere le fatiche con tali animali divennero anche i primi nel soccorrere, aiutare e curare i loro animali. Ecco affacciarsi alla ribalta di questo nuovo mondo in trasformazione la figura del MANISCALCO (dal latino servo addetto ai cavalli), sarà lui per molti anni ancora ad occuparsi della salute dei cavalli oltre che della loro ferratura.
Il “maniscalco-veterinario” non si rendeva ancora conto dell’enorme importanza che di li a poco avrebbe rivestito in una Europa mossa da continue guerre, carestie ed epidemie. A rendersene invece conto molto meglio, furono i Governi delle Nazioni che arrivarono a queste conclusioni; il cavallo come mezzo di trasporto e da combattimento era indispensabile, i bovini come forza lavoro nei campi pure, come bestie da soma di asini e muli non si poteva rinunciare alla pari di ovini per latte e formaggi insieme al cane per la guardia e la caccia. A seguito di queste considerazioni iniziarono ad essere stampati svariati manuali con cure e rimedi che in molti casi rasentavano più la “stregoneria” che la veterinaria. Uno dei primi che mise ordine ad un tema così importante e delicato fu COSTANTINO VII (930d.C.) il quale diede ordine di accorpare in un unico trattato tutte le cognizioni veterinarie dell’epoca e ne nacque “Hippiatrica”, un testo che per molti anni fu punto di riferimento per i maniscalchi-veterinari dell’epoca. Durante il Medio Evo, Giordano Ruffo di Calabria, maresciallo veterinario dell’Imperatore Federico II pubblicava nel 1250 “Medicina Equorum” che insieme ad “Hppiatrica” costituivano l’unico punto valido di riferimento per la veterinaria di quei tempi. Dal 1200 al 1600 con l’arrivo dall’oriente delle spezie si allarga il mercato farmaceutico dei rimedi ( e delle illusioni) a disposizione dei maniscalchi-guaritori.
Traiamo dal libro “Marescalciae” del 1490 alcuni prodotti “orientali” di grande utilità definiti “droghe”, cannella, rafano, ginepro, noce moscata, liquirizia, zenzero, pepe bianco e nero i quali venivano somministrati esclusivamente per via orale e senza un dosaggio pre-definito(posologia). Tenuto conto dell’elevatissimo costo che avevano a quei tempi le spezie, viene da pensare che la quantità di spezie da somministrare al cavallo malato venisse definita in base alla quantità di danari che poteva spendere il proprietario dell’animale. I primi anni del 1700 furono testimoni di grandi innovazioni nel campo della veterinaria, infatti il Senato Bolognese nel 1695 su istanza dell’ ARTE DEI FABBRI aveva reso obbligatorio per tutti coloro che volessero intraprendere la professione di Maniscalco l’obbligo a sostenere un esame di “abilitazione”. Fu in questo contesto di grandi trasformazioni che nacquero in Europa le prime scuole di veterinaria, prima fra tutte quella di Lione fondata dal nobile Claude Bourgelat il 16 febbraio 1762. Seguirono l’esempio Alfort (1765), Vienna (1768), Torino (1769), Copenaghen (1773), Padova (1774), Bologna (1784), Ferrara (1786) ecc.
In questi anni ed esattamente nel 1790 un medico Tedesco, Christian Friederich Samuel Hahnemann formulava per primo la dottrina dell’ Omeopatia che si basava su di un concetto di Paracelso (1493-1541) secondo cui; “similia similibus” vale a dire, cose simili vengono curate con cose simili. Nel 1820 Johann Joseph Wilhelm Lux veterinario contenporaneo di Hahnemann inizia un lungo processo di studi e applicazioni cliniche contribuendo alla diffusione dell’omeopatia nella veterinaria. Visti i grandi fermenti di questa nuova scienza medica il 29 gennaio 1891 fu emanato il Regio decreto del Ministro dell’Istruzione Pubblica Boselli che sanciva un unico regolamento per tutte le Regie Scuole Superiori di Medicina Veterinaria. La scienza veterinaria si incamminava così a grandi passi nel nuovo secolo fino al suo “periodo d’oro” che vide dal 1925 in poi scoperte ed innovazioni a ciclo continuo come, vitamine, steroidi (cortisone), dieuretici, tranquillanti e sedativi, grazie a questi ultimi ritrovati venne resa la professione meno rischiosa da parte delle donne facilitandone l’inserimento.
Terminiamo questa retrospettiva con il nome VETERINARIO che deriva da “medico degli animali” ed introdotto per primo dallo scrittore Romano Flavio Tullio Vegezio intorno al 400d.C. cadde poi in disuso per tanti anni fino al 1761 quando la Scuola di Lione prima in Europa riprese definitivamente il termine ora arrivato ai giorni nostri.