Il sig. Mirko conduce con tranquillità i due buoi dell’Azienda Agricola FURMA di Casola Valsenio

 

 

 

Non solo motivazioni prettamente economiche, ma anche ripristinare dove è possibile le antiche tradizioni che, a conti fatti, non hanno mai fatto morire di fame nessuno.

Da voci raccolte in giro pare che queste Fiere o Sagre che dir si voglia “Sono una grande  opportunità per l’economia del nostro territorio perché ci consentono di dare visibilità e di valorizzare le nostre tipicità agroalimentari tra cui spicca la razza bovina-romagnola. Continuiamo così a valorizzare e proteggere le risorse autoctone promuovendone anche la presenza sul mercato nazionale, nel solco di progetti sostenuti dall’Amministrazione Comunale e già avviati con successo”.

Il ricco programma della sagra di Bastia  è ancora una volta il frutto della coesione dei cittadini organizzati e della forza dei volontari. Se una comunità piccola come Bastia è riuscita a supportare questo importante evento che ha richiamato migliaia di persone, significa che ancora una volta la partecipazione dal basso ha colto nel segno e testimonia la ricchezza di energie della gente di questo territorio e la loro volontà di attivarsi per il bene e la promozione del medesimo.

Questa importante Sagra Paesana a Bastia di Ravenna, oltre a proporre le eccellenze zootecniche emiliano-romagnole, si propone anche – tramite la rievocazione e la riproposta di antiche lavorazioni e tradizioni legate alla cultura agricola e conferenze di approfondimento sulla razze bovine autoctone – di far conoscere e ricordare le antiche tradizioni, coinvolgendo allevatori, addetti ai lavori, studenti ai vari livelli (elementari, medie, superiori, università), appassionati e curiosi.

 

L’antica macchina per trebbiare trainata dai due bravi e potenti cavalli da Tiro Pesante Rapido

 

Nel collage di immagini sottostante vediamo alcune immagini dei tempi passati: la fatica era tanta, la fame era tanta, ma si tirava avanti. Con l’arrivo del motore a scoppio iniziò una parabola di benessere che oggi, dopo tanti anni, sembra ci abbia fatto ritornare … al punto di partenza (?)

 

 

 

 

Da sinistra Mirko Cavezza e Alfredo Marchetti

 

Bella, simpatica, intelligente, dal sorriso affascinante, chi può essere? … Chiara Caponetti

 

 

 

Laura Cavina e Anna Costa, segretarie dell’ARA Emilia Romagna. Attive e volonterose, lavorano con passione in qualsiasi condizione di tempo, con cielo nuvoloso (a sinistra) e con il sole battente (nella foto a destra)

 

Tanti gli spettacoli con gli attacchi, in rapida successione; (a sx) Valter Teverini (Cav. Bianca e Aida), in alto a dx; Matteo Delle Monache (Cav. Aurora), in basso; Roberto Paradisi (Cav. Silvia e Zarabette)

 

Spettacolari anche le esibizioni a sella, foto a sx: Elisabetta Chiminazzo su Iside, Leonardo Sottana su Diva e in basso a dx impegnata nel volteggio; Ilaria Stefanini

 

Non poteva mancare l’Asino Romagnolo

 

Gruppo affiatatissimo quello del Cavallo Bardigiano

 

L’importante è esserci e festeggiare in allegria! W il Cavallo di Bardi!

 

Lo “Zoccolo duro” di questa Sagra a Bastia: da sin. Arcangelo Cavezza, Chiara Caponetti, Mirko Cavezza e il Veterinario ufficiale della manifestazione Dott. Alfredo Marchetti

 

Cosa sta succedendo in giro per il mondo?  C’è qualcosa di poco chiaro. 

Pare sia una consacrata verità che, per meglio comprendere il presente, bisogna capire o quantomeno avere un’idea del passato. Vi proponiamo un interessante articolo alternato in qua e in là da immagini della Sagra di Bastia di Ravenna del 2018.

L’AGRICOLTURA IERI E OGGI

Articolo tratto da:   https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/102009326#h=31  

DA DOVE provengono i prodotti che mangiate? Li avete acquistati o coltivati voi stessi? Fino a non molto tempo fa gli uomini praticavano in genere un’agricoltura di sussistenza, cioè vivevano dei prodotti che essi stessi coltivavano. Ora però in alcuni paesi industrializzati solo una persona su 50 lavora nel settore agricolo. Com’è avvenuto tale cambiamento?

Il perfezionamento delle tecniche agrarie è iniziato a poco a poco e poi ha subìto una rapida accelerazione. Ogni passo avanti ha inciso drasticamente sulla vita di milioni di famiglie e il processo è ancora in atto in tutto il mondo. Un rapido sguardo al modo in cui i progressi in campo agricolo hanno influito sulle persone può aiutarci a comprendere meglio il mondo odierno.

Una vera e propria rivoluzione

Una delle innovazioni che più contribuirono al declino dell’agricoltura di sussistenza in Europa fu l’introduzione, nel XII secolo, del collare per il cavallo. Questo finimento permetteva all’animale di lavorare senza strozzarsi. I cavalli bardati in questo modo erano in grado di trainare con più forza, più velocemente e più a lungo dei buoi, usati in precedenza. Grazie alla potenza del cavallo gli agricoltori potevano ora incrementare la produzione. Potevano usare aratri di ferro su terreni fino a quel momento incoltivabili. Un altro passo avanti fu l’impiego sistematico di colture che arricchiscono il suolo, come fagioli, piselli, trifoglio ed erba medica, i quali fissano l’azoto nel terreno. Il suolo produceva così raccolti più abbondanti.

I potenti TPR di Arcangelo Cavezza

 

Già grazie a questi progressi alcuni agricoltori potevano disporre di un sovrappiù di prodotti da destinare alla vendita. Questo portò allo sviluppo delle città, dove si potevano acquistare gli alimenti e ci si poteva dedicare all’artigianato e al commercio. Ed è proprio ad alcuni ricchi artigiani, commercianti e agricoltori che si deve l’invenzione delle prime macchine agricole.

Intorno al 1700 Jethro Tull, agricoltore inglese, ideò una seminatrice trainata da cavalli che soppiantò la semina a mano, molto più dispersiva. Nel 1831, negli Stati Uniti, Cyrus McCormick inventò una mietitrice trainata da cavalli che poteva mietere il grano a un ritmo cinque volte maggiore rispetto a quanto poteva fare un uomo con la falce. Sempre in quel periodo i commercianti iniziarono a importare fertilizzanti in Europa dalle coste sudamericane occidentali. L’impiego di macchine e fertilizzanti produsse un consistente aumento nella produzione agricola. Ma che impatto ebbe sulla popolazione?

Dimostrazione di trazione animale: Mirko Cavezza alle redini da terra

 

I progressi in campo agrario provvidero abbondanza di cibo a buon mercato agli abitanti delle città e spianarono la strada alla rivoluzione industriale. Questa prese il via in Gran Bretagna nel periodo compreso tra il 1750 e il 1850. Migliaia di famiglie furono costrette a trasferirsi nelle città industriali per lavorare in miniere di carbone, fonderie, cantieri navali e stabilimenti tessili. Non avevano molta scelta. Quei piccoli agricoltori che non potevano permettersi i nuovi metodi di coltivazione videro diminuire i loro introiti e non riuscirono più a pagare l’affitto del terreno. Dovettero lasciare i campi per andare a vivere in quartieri poveri, sovraffollati e infestati dalle malattie. Invece di occuparsi dei campi insieme alla famiglia, ora gli uomini si ritrovavano a lavorare fuori casa. Persino i bambini lavoravano tante ore nelle fabbriche. Ben presto avvennero cambiamenti del genere anche in altre nazioni.

La scienza introduce altre novità

Già nel 1850 alcune nazioni erano abbastanza prospere da finanziare la ricerca in campo agrario. L’applicazione di princìpi scientifici all’agricoltura ha prodotto e produce continui cambiamenti. Per esempio, studiando i princìpi della genetica, coloro che ibridavano le specie ottennero piante che davano una resa maggiore o erano più resistenti alle malattie. Inoltre i ricercatori individuarono la giusta combinazione di nitrati e fosfati necessaria a una data coltivazione o a un dato terreno. In precedenza buona parte dell’attività dei braccianti consisteva nell’estirpare le erbacce. Quando però furono messi a punto diserbanti per rallentare la crescita delle erbacce, molti di quei braccianti persero il lavoro. Anche vermi e insetti sono da sempre nemici giurati dei coltivatori, ma questi ultimi hanno ora a disposizione un arsenale di sostanze chimiche per combattere praticamente ogni sorta di organismi nocivi.

Esposizione di bovini di razza “Romagnola” presso la Sagra a Bastia di Ravenna

 

Le cose sono cambiate anche per gli allevatori. Grazie a mungitrici meccaniche e nutritori computerizzati; un allevatore con un solo assistente può governare fino a 200 vacche. Ora è anche possibile far ingrassare vitelli e maiali molto più rapidamente allevandoli nelle stalle anziché all’aria aperta e quindi gestendo temperatura e alimentazione.

I risultati ottenuti grazie alla ricerca scientifica spesso sono stati rimarchevoli. La resa di un lavoratore agricolo odierno può essere di cento o addirittura mille volte superiore a quella di un lavoratore dell’epoca preindustriale. Ma in che modo questi sviluppi hanno influito sulla vita degli agricoltori?

Carrettone con il “timone centrale” bi-valente, adattissimo per i buoi, un po’ meno per i cavalli

 

 

Alle redini Mirko Cavezza con il padre Arcangelo a fianco, e il Dott. Alfredo Marchetti alle spalle

 

 

Il carrettone

 

Due giovani vitelli trasportati sopra il Carrettone

 

Cambia la vita dell’agricoltore

In molti luoghi le macchine hanno cambiato radicalmente la vita dell’agricoltore. Ora la maggioranza dei coltivatori e dei loro dipendenti devono essere in grado di manovrare sofisticati macchinari e tenerli in condizioni di efficienza. E sempre più spesso si ritrovano a lavorare da soli. Sono lontani i tempi in cui si seminava, si zappava e si mieteva tutti insieme.

È nata in molti paesi una nuova figura di agricoltore: si tratta di un imprenditore con un’ottima preparazione, specializzato nella coltivazione intensiva di poche specie o addirittura di una sola. Ha investito ingenti capitali acquistando terreno, fabbricati e macchinari. Ma non può certo agire in completa autonomia. I colossi dell’industria alimentare e le grandi catene di distribuzione dettano legge non solo in quanto ai prezzi, ma anche in quanto a varietà, colore e dimensioni del prodotto. L’agroingegneria ha ideato i sistemi di produzione che l’agricoltore utilizza e aziende specializzate gli forniscono i fertilizzanti, i pesticidi e le sementi ibride necessarie per le specifiche esigenze della sua attività. Quante cose sono cambiate dal tempo dei suoi predecessori! Ma i problemi rimangono e gli effetti potenzialmente dannosi di determinate tecniche agrarie destano preoccupazione.

Le odierne difficoltà degli agricoltori

Nei paesi ricchi ancora oggi molti agricoltori sono costretti ad abbandonare i campi perché non sono in grado di competere con le grandi aziende agricole. Alcuni, per non rinunciare al tipo di vita cui tengono tanto, diversificano l’attività provvedendo servizi per il tempo libero, come strutture per agriturismo, agricampeggio e golf, e realizzando oggetti di artigianato locale. Altri si cimentano nella produzione di particolari prodotti come cibi biologici e fiori o nell’allevamento di animali come struzzi e alpaca.

Nei paesi poveri, dove fino all’80 per cento della popolazione si guadagna da vivere lavorando la terra, molti contadini stanno risentendo in modo drammatico del cambiamento. Le multinazionali che usano tecniche agrarie meccanizzate si accaparrano i terreni migliori per coltivare prodotti destinati a mercati lontani. Chi vive di agricoltura e dispone al massimo di qualche macchinario, per sfamare la famiglia si ritrova spesso a lavorare terreni poco produttivi o minuscoli appezzamenti. Il massiccio esodo dalle campagne alle città che sta avvenendo in molti paesi è il risultato di un processo iniziato secoli fa. Il passaggio dalla vita rurale a quella urbana reca benefìci ad alcuni ma crea disagi ad altri. Sono ben pochi i governi che spinti da sentimenti di solidarietà hanno provveduto ad una assistenza pratica a chi si è trovato in difficoltà, ammesso che ce ne siano stati.

DUE AGRICOLTORI A CONFRONTO

Eusebio, che vive sulle Ande, coltiva i campi e ha 14 capi di bestiame. “Ho dato un nome a ognuno – dice – mi piace fare l’agricoltore. Coltiviamo noi la verdura che mangiamo. Io e mia moglie aiutiamo i vicini nell’aratura e nella raccolta, e loro aiutano noi. Nessuno ha dei macchinari. Ariamo con i buoi, o con la vanga sui terreni in pendenza. Dopo aver perso quasi tutto il bestiame a causa di una malattia, ho frequentato un breve corso di veterinaria. Da allora non abbiamo perso nemmeno un animale e ora curo anche quelli dei miei vicini. Vendiamo formaggio al mercato. Il guadagno è minimo, ma abbiamo sempre cibo a sufficienza per i nostri sei figli”.

Richard, che vive nelle praterie del Canada, coltiva più di 500 ettari di terreno. Lavora da solo, tranne nel periodo della semina e della raccolta, in cui si fa aiutare da un operaio.

“Oggigiorno la fatica dell’agricoltore è più mentale che fisica”, dice Richard. “Sia il trattore che la mietitrebbia hanno la cabina con l’aria condizionata e quindi non ho il fastidio della polvere e degli insetti. Ho macchine con un’ampiezza di nove metri, per cui in un solo giorno posso seminare o mietere 65 ettari. Ma dipendo quasi interamente dai macchinari ed è questo che mi procura stress. A volte devo chiedere un prestito per sostituirli e la capacità di restituirlo dipende da fattori che vanno oltre il mio controllo: pioggia, gelo, prezzi del mercato e tassi di interesse. Qui lo stress legato all’attività agricola si fa sentire in modo particolare. Infatti molti hanno problemi coniugali e qualcuno arriva al punto di togliersi la vita”.

https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/102009326#h=31

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Bella e interessante la collezione di antichi carri da lavoro di G. Paolo Calderoni (Faenza); alcuni esemplari sono stati messi in movimento e trainati da cavalli e da buoi per meglio fare capire agli spettatori intervenuti la differenza tra la trazione animale e le odierne macchine motorizzate.

 

Una delle tante “Spallone” esposte oggi qui a Bastia che provengono dalla Collezione G. Paolo Calderoni di Faenza

 

 

 

Dai discorsi che si sentono pare che ci sia gente che ne capisce e che la sa lunga! (Gente di Romagna)

 

Arcangelo Cavezza

 

Potremmo dare un titolo alla foto in alto: “Quando si lavorava con l’amico cavallo”. Nella foto Arcangelo Cavezza con il suo cavallo che monta un Basto da lavoro ed entrambi accanto ad un vecchio carro agricolo che da queste parti in Romagna veniva chiamato “Spallona”. Nella foto sottostante un’ altro modello di “Spallona” che monta nella parte iniziale delle stanghe un arco in legno che permetteva di salvaguardare il posteriore del cavallo quando c’era da caricare merci lunghe e ingombranti che potevano danneggiare o ferire l’animale addetto al traino.

 

Pratico e intelligente questo manufatto in legno adoperato per riparare il posteriore del cavallo. Poteva essere facilmente tolto slacciando gli appositi lacciuoli in pelle

 

 

 

 

Un “Biroccio”, modello acquistato in Francia datato 1925

 

 

Agricoltura in vigna anche con i cavalli … perchè no?

 

Oggi qui in Romagna a Bastia di Ravenna si parla di problematiche inerenti gli animali, chissà, forse nel campo del vino le cose vanno meglio, ascoltiamo due parole dal Sig. Giovanni Bosco

“C’era una volta un paese chiamato Moscato; in questo paese baciato dal sole coltivavano le vigne oltre tremila contadini, c’era chi vendeva l’uva alle industrie e alcuni più intraprendenti vinificavano in proprio e poi, a proprie spese, giravano il mondo a vendere le proprie bottiglie.

Un brutto giorno le industrie (avide di denaro?) pensarono bene di imbottigliare altri vini di varie provenienze trascurando i prodotti del proprio territorio. Arrivò la crisi per le uve del territorio. Aumentarono le scorte e allora si decise di ridurre le rese per ettaro.

I pochi contadini che vinificavano in proprio non solo non erano in crisi, ma le vendite aumentavano di anno in anno. Questi pochi contadini pensavano che per loro le rese non sarebbero diminuite. Ed invece anche su di loro la mannaia arrivò precisa ed inesorabile. Pur avendo le ordinazioni ed il prodotto in casa, per soddisfare le richieste, dovettero acquistare del prodotto a prezzo pieno e svendere al 50% quello che avevano in cantina. Questo succedeva nell’anno del Signore 2018, nel paese chiamato Moscato. Pensate che sia impazzito? Provate a telefonare ad un piccolo produttore di Moscato d’Asti …”

Giovanni Bosco

presidente CTM – Coordinamento Terre del Moscato

 

Mirko Cavezza alla guida del “Carrettone” che trasportava gli animali vivi, alle spalle Alfredo Marchetti

 

 

Eppure qualcuno aveva parlato così bene di questi scambi economico-culturali tra i popoli che aprono le menti, abbattono le frontiere, rendono tutti uguali, tutti fratelli, tutti uniti da un comune denominatore … che bello!  Peccato che c’è sempre qualcuno che, tenendoci informati, ci rovina la favola di Cenerentola; leggiamo le due righe sottostanti.

 

lanuovaferrara.gelocal.it  

FERRARA. Sono 30 mila le aziende agricole dell’Emilia Romagna coinvolte dalla “guerra del grano” che ha visto migliaia di agricoltori con trattori alle banchine del porto di Bari per l’arrivo di un mega cargo con grano canadese proprio alla vigilia della raccolta di quello italiano. Risuona l’allarme lanciato da Coldiretti Emilia Romagna e dai suoi associati a sostegno di tutti i produttori di grano.

«Nella nostra regione – sottolinea Coldiretti Emilia Romagna – è a rischio un settore che coltiva 324mila ettari, un terzo di tutto il terreno coltivato in Emilia Romagna. Per la provincia di Ferrara le colture di grano tenero e duro mediamente negli ultimi anni hanno coperto una superficie di circa 49.000 ettari, con una produzione di oltre 2.780.000 quintali di granella, avviata per lo più alla produzione di farina per pasta». «I prezzi pagati agli agricoltori nella campagna 2016 – denuncia Coldiretti Emilia Romagna – sono praticamente dimezzati scendendo al di sotto dei costi di produzione per effetto della concorrenza sleale ed oggi con 5 chili di grano non è possibile neanche acquistare un caffé».

La situazione è aggravata dal fatto che ormai un pacco di pasta imbustato in Italia su tre è fatto con grano straniero senza alcuna indicazione per i consumatori. Un pericolo anche per i consumatori, con i cereali stranieri risultati irregolari per il contenuto di pesticidi che sono praticamente il triplo di quelli nazionali a conferma della maggiore qualità e sicurezza del Made in Italy, sulla base del rapporto sul controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti divulgato l’8 giugno 2017 dal Ministero della Salute.

«I campioni risultati irregolari – sottolinea Coldiretti – per un contenuto fuori legge di pesticidi sono pari allo 0,8% nel caso di cereali stranieri mentre la percentuale scende ad appena lo 0,3% nel caso di quelli di produzione nazionale. Peraltro in alcuni Paesi terzi vengono utilizzati principi attivi vietati in Italia come proprio nel caso del Canada dove viene fatto un uso intensivo del glifosate nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato che – continua Coldiretti – è stato vietato in Italia dal 22 agosto 2016 con entrata in vigore del decreto del Ministero della Salute perché accusato di essere cancerogeno».

La mancanza dell’etichetta di origine non consente ancora, sottolinea la Coldiretti, «di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e con esse il lavoro e l’economia nazionale. Una esigenza sollevata da Coldiretti e raccolta positivamente dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda che hanno avviato la procedura formale di notifica Ue dei decreti per l’introduzione in Italia dell’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta che è necessario concludere al più presto per garantire maggiore trasparenza negli acquisti e fermare le speculazioni.

Andrea Tebaldi